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Ninjababy

Regia di Yngvild Sve Flikke vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Ninjababy

di darkglobe
8 stelle

Tante risate, se si ha la capacità di non scandalizzarsi, ma anche innumerevoli spunti di riflessione

Sembra che ultimamente il tema del mancato senso materno sia divenuto in qualche modo ricorrente. Annovero almeno un paio di titoli di una certa rilevanza, pur con i dovuti distinguo per ambientazione temporale, toni e stile narrativo. Uno senza dubbio è La scelta di Anne di Audrien Diwan, Leone d’Oro a Venezia 78, film coinvolgente ma a momenti eccessivo nella brutalità della narrazione, ambientato nella Francia oscurantista del ’63, che traccia la storia di un’universitaria francese decisa a sfidare la legge per interrompere la propria inattesa ed indesiderata gravidanza. L’altro è Ninjababy film norvegese di Yngvild Sve Flikke, piccolo ma riuscito coming of age che affronta temi drammatici con toni da commedia, sviluppato dalle sceneggiatrici Johan Fasting e Inga Saetre partendo dalla graphic novel Fallteknikk realizzata dalla stessa Saetre. Il film vede una giovane Norvegese di 23 anni, dedita a scopate seriali e sballi di vario tipo, scoprire inaspettatamente di essere incinta da lungo tempo.

Non è proponibile, come si scriveva, alcun confronto tra i due lavori, ma è singolare individuare qualche questione che li correla: il desiderio femminile di autodeterminazione personale, la presa di coscienza che un nascituro comprometterebbe in maniera irrimediabile le proprie ambizioni di affermazione lavorativa e soprattutto una sorta di anaffettività materna che si manifesta da un lato con la capacità di affrontare rischi fisici personali pur di liberarsi del potenziale nascituro, dall’altro nella ricerca affannosa di una potenziale adozione per quel “corpo estraneo”.

Girato per gran parte in interni, Ninjababy dimostra una certa carineria architettonica che gli ha consentito la presentazione, ottenendone due premiazioni, al Giffoni film festival del 2021: mischia infatti le riprese con la grafica di un fumetto animato che ha come protagonista Ninjababy, un esserino saltellante con una benda da Ninja sul capo, che sta crescendo nella pancia di Rakel (Kristine Thorp) e che dialoga periodicamente con lei, proponendo il suo punto di vista rispetto alle decisioni che la madre dovrà prendere a seguito dell’inatteso arrivo.

Rakel è una single incasinata, che coabita con l’amica Ingrid (Tora Christine Dietrichson) e ha le idee un po’ confuse sul proprio futuro, tra cui le 5 cose che vorrebbe diventare: astronauta, assaggiatrice di birra, giramondo, guardia forestale o disegnatrice di fumetti. Lei si lava poco e la sua stanza è il caos totale come a riflettere un’indole caratteriale più votata alla creatività di disegnatrice e ad una vita godereccia che ad un minimo di decoro personale. Quando la ragazza partecipa alla prima lezione di Aikido, scopre che il maestro Mos (Nader Khademi), basso e tarchiato ma dal cuore tenero, è colui con cui è andata a letto da poco in una delle sue classiche serate di “sesso occasionale”. E poiché i suoi strani comportamenti, che vanno dalla voracità ai continui stimoli di andare in bagno, insospettiscono la coinquilina, quest’ultima la costringe al test di gravidanza dal quale risulta essere incinta. Rakel subito attribuisce il misfatto al maestro di Akido, solo perché la “ha fatta venire di brutto” ma comunque decide di abortire facendosi accompagnare da lui al consultorio. Ed è là che scopre tragicamente di essere in stato di gravidanza da oltre sei mesi e che per legge è costretta a portarla a termine. Scartato dunque il maestro di Aikido che, nonostante sia incinta, continua a corteggiarla, risale in breve al vero padre. Sei mesi prima se ne è infatti scopati “solo tre”: “Hassan, che non è venuto”, Martin che “non è venuto... dentro” ed infine “ne rimane uno, un bastardo che...Minchia Santa”, un ubriacone mezzo drogato, narcisista fino al midollo.

E se Ingrid si incavola dicendole che le aveva raccomandato di lasciar perdere Minchia Santa, Rakel ammette candidamente che ogni volta che lo incontra lui le dice: "Scopiamo o no?" e lei non riesce a resistere.

 

Cazzo. Avrei dovuto dirgli di sì quando voleva venirmi in faccia.”

 

La ragazza va da Minchia Santa (Arthur Berning) proponendogli di adottare il bambino, ma il piccolino esprime inorridito, tramite il ninja, la sua contrarietà osservando le pareti della casa del padre: “Non ho intenzione di crescere con lui. Sei impazzita? Ha il poster di Gesù che si fa le canne!”. Rakel chiarisce a Minchia di non volere un figlio, non avendo il tempo di crescerlo né soldi per farlo, ma anche lui ribatte di non volerne uno in quella fase della sua vita, dichiarandosi disponibile a rinunciare alla paternità in favore di una possibile adozione da parte di terzi.

La ragazza viene però a sapere che con l’adozione non potrà scegliere la famiglia che si prenderà cura del bambino e la cosa la inorridisce, soprattutto dopo aver partecipato furtivamente ad un corso di preparazione all’adozione di varie coppie norvegesi durante il quale prende atto di tutta la smodata agiatezza economica e l’indole razzista dei partecipanti. È per questo che, volendo liberarsi del bambino, ma in modo da non sentirsi in colpa per il resto della vita, chiede alla sorellastra Mie (Silya Nymoen), che non può aver figli, di farsene carico.

La situazione, che pare ormai avviarsi verso il possibile sbocco adottivo individuato da Rakel, si complica quando Minchia Santa le si presenta a casa dichiarando di aver cambiato idea. “Ci ho pensato molto e insomma, è davvero pazzesco, sai? Ma c'è anche qualcosa di esistenziale in questo.” “Sì, sembro un po' un maniaco della new age o qualcosa del genere, ma... improvvisamente l'ho capito. Che voglio crescere il bambino Penso solo che potrei essere un buon padre.

Il film come si vede ha un incedere grottescamente irriverente e scurrile. I ragazzi norvegesi protagonisti di questa storia di nascita inattesa interagiscono esprimendosi senza peli sulla lingua e vengono rappresentati esattamente per ciò che sono e pensano, diretti, senza veli, limpidi nei ragionamenti e disinvolti nelle frequentazioni sessuali. Rakel, pur nel suo caos di ambizioni esistenziali, ha una visione molto netta su ciò per cui sa con certezza di essere inadatta: l’essere una madre. Questo non significa che le manchi l’umana pietà o che non cerchi la sistemazione migliore per il nascituro, tant’è che abbondano i sensi di colpa amplificati da Ninjababy, questo disperato nascituro cosciente di non essere benvoluto.

Il Ninjababy alimenta sadicamente quei sensi di colpa dichiarando alla madre che soffrirà di idrocefalo perché lei ha bevuto tequila e birra ogni fine settimana, fumato e fatto anche ricorso a droghe durante la gravidanza… In effetti Rakel è perfettamente cosciente che il feto sia stato “piuttosto bravo”, non avendole creato “troppe seccature”, non facendola “ingrassare o vomitare”, cercando di essere suo amico, mentre lei oltre ad averlo continuamente messo in pericolo cerca ora a tutti i costi di disfarsene. Ma la ragazza è anche dotata di un sincero e sano egoismo che le fa dire di non aver tempo per un bambino, probabilmente perché al momento non è neppure in grado di badare a se stessa, lei che vivacchia in una stanza “tra spaghetti ammuffiti e tabacco vecchio” ed “un panino di paté di fegato sotto il letto”.


Mio Dio, non startene lì seduta con i tuoi fottuti disegnini.

In questo gioco di divertissement dissacrante c’è tanto da ridere, come quando il bambino si lamenta della fine che farà, cavalcando un po’ di stereotipi psicoanalitici conditi da riferimenti ai censurabili comportamenti genitoriali “Mi farai venire una crisi di identità a cinque anni e diventerò un vero Minchia Santa che fa solo un sacco di sesso occasionale senza mai stabilire una connessione con qualcuno perché la mamma non era la mia mamma, e non potrò mai più fidarmi di nessuno!”.

 

Divertono i personaggi a corredo.

Impagabile l’istruttore Mos che "profuma di burro" ed è ritratto nei fumetti di Rakel, giovane che alterna perle di saggezza da uomo maturo, essendo capace di distinguere il suo interesse per la ragazza in quanto tale dalla sua condizione di gravidanza, all'entusiasmo quasi fanciullesco per i suoi amati giochi di ruolo, fatti di miniature da dipingere e personaggi con poteri speciali su cui scrivere delle truculente backstory con madri decapitate a metà del parto o figlie capaci di uccidere il padre adottivo.

O il Minchia Santa, perdigiorno un po’ ascetico e un po’ balordo, che, come primo impatto di fronte alla notizia della paternità, prova a discolparsi dichiarando di esserle “venuto dentro” perché “in quel frangente devi prendere delle decisioni fondamentali (dove direzionare lo sperma, ndr) alla velocità della luce”. Eppure è lo stesso ragazzo che, dopo aver meditato sulla vicenda, giunge alla conclusione che non ci si possa mai pentire di avere un figlio perché “semplicemente non è possibile pentirsene, è come dare... una svolta alla propria vita. È gratificante ed esistenziale”.

 

Chiaro il sovvertimento dei ruoli di genere, con una giovane donna che non riesce ad avere il benché minimo desiderio di essere madre ed un giovane uomo che recepisce pienamente ruolo e sentimenti paterni. C’è il tema delle (an)affettività ed il modo di affrontarlo pare andare sul decisionismo pratico che separa in maniera netta un senso dell’umano, ancora fortunatamente vivo, dall’idea della genitorialità e della ricomposizione secondo gli archetipi tradizionali della famiglia. Qui il tema non è dunque più l’aborto, non c’è una scelta da compiere sul proprio fisico, che pure la ragazza a tratti immagina deturpato dalla nascita, o sui tormenti morali che ne seguiranno; qui si parla semplicemente di una presa d’atto delle proprie incapacità genitoriali e della fuga da costrizioni che verrebbero coltivate sul terreno dell’insoddisfazione e delle rinunce personali, le quali per certi versi risulterebbero perfino dannose per lo sviluppo di un figlio.

Quel che più colpisce, ed in fondo è l’elemento più apprezzabile di Ninjababy, è la naturale capacità del passaggio dal tono allegro ed irriverente di tre quarti del film, agli aspetti quasi drammatici legati alla nascita prematura del bambino, che si rileverà nei fatti essere una piccola Ninabibbì con la sua “piccola vagina” ed impossibilitata a produrre una sola “goccia di sperma” in tutta la sua vita.

La paura di averla quasi persa costringe Rakel a prendere atto di come stia sprecando il proprio tempo nella vita non riuscendo a concludere nulla oltre che “scarabocchiare disegni di merda”; confortata però dal buffo Mos cosciente che lei sia brava a disegnare e che qualcosa di suo potrà prima o poi finire in un negozio di fumetti.

Ed è in questa fase che troviamo le scene più toccanti del film, come quella che mostra la totale assenza di senso materno di Rakel quando in gran disagio vorrebbe rifiutare l’allattamento chiedendo all’infermiera se possa dare alla neonata “un biberon o qualcosa del genere”.

Tante risate dunque, se si ha la capacità di non scandalizzarsi, ma anche innumerevoli spunti di riflessione per un film premiato come Miglior Commedia agli European Film Awards 2021, solo all’apparenza semplice per struttura narrativa e composizione visiva.

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