Regia di Roger Hanin vedi scheda film
La sofferenza degli ebrei sotto il nazismo si arricchisce di un nuovo tassello. Con la storia narrata da Meyer Levy ripercorriamo le vicissitudini di una famiglia di ebrei Mizrahi di Algeri causate dalle leggi razziali del governo di Vichy. La madre di Meyer è la vera protagonista del film; la sua determinazione, l’amore per i cinque figli e un marito lontano che, sotto falso nome, a Parigi cerca di guadagnare qualche franco, riempiono lo schermo. Per sfamare i suoi cuccioli Titine non esita a rubare e nella scena madre sembra anche concedersi a un negoziante arabo per avere in cambio del cibo, scatenando l’ira edipica del dodicenne Meyer. Una narrazione pacata, l’omaggio amoroso alla figura materna, la vita rumorosa e solare di una Algeri multietnica che non esiste più, non bastano però a sostenere le gravi debolezze del film. Innanzitutto lo scollamento tra la storia al presente, con Meyer celebrato chirurgo anziano e malato, e il resto del film, interminabile flashback; poi una regia eccessivamente manierata che indulge a soluzioni banalmente irritanti e che non può contare sulla faccia da cucciolone inespressivo di Philippe Noiret e il sorriso stanco e stereotipato di Sofia Loren, ancora una volta nel ruolo di madre coraggio.
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