Regia di Mario Maffei vedi scheda film
Va in parte rivalutata la pellicola di Maffei, anche se non proprio per merito suo. Infatti a reggere tutto il plot è la presenza canagliesca e già ribelle di William Berger al suo primo ruolo western nel cinema di casa nostra (lavorò, sempre nel 1966, a “El Cisco” western di produzione americana). Il film parte male, se non per la scena iniziale girata da Castellari con buon ritmo, e si rialza nella fase centrale, quella notturna, dove l’atipica ambientazione rarefatta aiuta a creare una sequenza interessante dove non si rispettano i ritmi del western classico, ma perseguendoli vengono comunque dirottati verso l’artigianalità nostrana che li rende diversi al nostro sguardo. Qualche trovata azzeccata, qualche dialogo culto, ma una confezione totale che non è all’altezza dell’idea di fondo, realizzata con pressapochismo e puerilità. La regia infatti è poco personale, e si nota per la posizione della camera, dell’assenza dei primi piani e di ogni iniziativa di sguardo che non fosse da manuale. Si salvano appunto scene isolate come la morte del dinerovestito Black Morton, le cavalcate alla Pedriza di Madrid, il paesino con i morti in fila e il popolo in piedi fermo ad osservarli, e certi scorci della sequenza notturna con un gioco artigianale delle nuvole che oscurano la luna. Il finale purtroppo non tiene conto dell’impatto culturale che potrebbe avere un personaggio modellato sul fisico di William Berger e che già gode del nome di Ringo, e si rintana nel canone ossequioso della moralità italiana. Dopo un bellissimo dialogo tra Berger e l’agente federale che lo vuole sceriffo, in cui l’attore austriaco insiste, quasi teorizzando, il ruolo di antieroe nello spaghetti-western, il Ringo del titolo passa dalla parte della legge, tutto si riaccomoda e la carica eversiva dei personaggi “disperati” viene messa a tacere. Lo dimostra infatti che all’origine il film doveva intitolarsi “La Notte del Desperado”, ma che dopo il successo del Ringo di Tessari e Gemma diventa “La Grande Notte di Ringo”. Tant’è che questo soprannome lo troviamo solo a fine film, forse in scene girate apposta o ridoppiate per inserire il celebre nome.
Vale la pena ascoltare le parole di William Berger che all’alba dello spagowestern, dopo la codificazione leoniana ed eastwoodiana, suggella il pistolero antieroico del western di casa nostra, quindi antiborghese per definizione, con queste parole tratte dal dialogo di cui sopra:
Agente: Aspetta! Pensa ancora a quanto ti ho detto. Tu sei fatto per la legge. E non per stare contro la legge!
Berger: Io sono fatto per il danaro. E con il danaro compro tutte le leggi del mondo.
Agente: Fermati, fermati! Con 200.000 dollari non farai troppa strada. Sarai braccato ovunque tu vada.
Berger: Il Messico è vicino, e io cavalco meglio di ogni segugio.
Agente: Per l’ultima volta: rinuncia a questa tua rovina. Vieni via con me. Non hai capito che quella del pistolero è una vita breve? Tutti spacconi, vermi.
Berger: Ma voi uomini di legge vi siete affidati a un verme.
Agente: No, tu no. Sapevamo che sei un giocatore, che fai il pistolero per emozioni, per spavalderia.
Berger: Io voglio i soldi, non le emozioni.
Agente: Ma quelli li butti prima di quanto tu pensi. Cerca di capire che è più bello fare il cacciatore che la selvaggina. Sempre braccati!
Berger: Ma liberi! Indipendenti.
Agente: No. Tu vuoi essere cinico e non lo sei. Noi abbiamo bisogno di gente come te. Te l’ho già detto.
Berger: NO! Sono io che ho bisogno di me stesso. E questi dollari me li sono guadagnati con il rischio della mia vita. E mi appartengono adesso.
William Berger ci ha provato in tutti i modi, ma non c’è stato verso: hanno vinto ancora loro... maledetti!
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta