Regia di Samuel Fuller vedi scheda film
Il divismo hollywoodiano è alle corde, la grande crisi del cinema è conclamata, il mostro televisivo inarrestabile, nel 1963 Sam Fuller riesce ad autoprodursi seguendo la strada di R.Corman, anticipando e ispirando il nuovo modo di fare cinema che seguirà. Nasce Il corridoio della paura, con un cast non troppo di grido ma optando su un tema forte, mai espresso prima con tale veemenza e credibilità. Un giornalista, Jonny Barrett, per far luce su di un delitto irrisolto e scrivere il pezzo che lo renderà famoso si finge pazzo e si fa internare in un manicomio criminale dove interrogherà i testimoni del fatto. La scarsità di mezzi fanno si che ne scaturisca un film dal ritmo asciutto e rigoroso, l’atmosfera tesa e pesante contagia la narrazione e le attese dello spettatore che non vengono mai deluse, anzi con il progredire della storia si sente parte in causa e direttamente coinvolto, come se il famigerato corridoio dove i pazienti possono entrare in contatto fra di loro rappresentasse uno spazio dentro il quale ognuno si può ritrovare. Fuller costruisce un ingegnoso meccanismo predisposto di continuo alla rilettura interna ed esterna della vicenda, attribuendone significati molteplici, i personaggi assumono una funzione polivalente ed emblematica, ora assumendo una veste personale, poi traslata verso il giudizio e l’immedesimazione dello spettatore, incarnando la veste simbolica e mostrandone le ferite pubbliche che invece la storia e la società vorrebbero nascondere. E’ la denuncia della società americana intera, del suo perbenismo formale travestito di modernità, il manicomio è il mondo, una volta addentrati non se ne esce altrimenti, anche perché è la vita, scandita, abitudinaria e sottomessa. Milos Forman diede luce anni dopo ad un ritratto simile, al capolavoro Qualcuno volò sul nido del cuculo, dove però si mitizzava la ribellione, l’antieroismo, la lotta al sistema. Nell’opera di Fuller tutto ciò è assente, l’esplorazione della struttura sociale è interna e conforme a chi l’ha creata e in qualche modo dimostra di credergli. La spietata analisi parte dalla figura del protagonista, l’arrembante e sicuro Jonny Barrett che si crede in grado di potere uscire mentalmente indenne da un esperienza così estrema, come se il nuovo potere dei media non solo avesse il dovere di documentare il reale, ma detenesse anche il potere di rivelare nuove verità e giudicarle, di modificare gli equilibri sociali senza subirne conseguenze. I testimoni dell’omicidio, anch’essi pazienti dell’ospedale psichiatrico, incarnano i grandi scheletri nascosti nell’armadio della storia americana, i detentori del potere cioè i medici e gli infermieri, compresi i complici esterni del giornalista sono gli esperti interpreti della realtà di fronte alla quale non possono fare altro che arrendersi mostrando il proprio fallimento e la propria incapacità. Non a caso Il corridoio della paura nonostante il tema trattato, si pone con una veste anti psicologica e contraria allo scandaglio interiore del singolo, vittima più del sistema che di se stesso e della sua storia personale. Riguardo all’uomo ucciso su cui indaga Jonny, nulla si verrà a sapere, come niente si saprà sui motivi per cui è stato ammazzato, la vittima è l’uomo qualunque della strada, deprivato di qualsiasi dignità storica che lo identifichi, è una figura assolutamente retorica. Interessante sarà la figura della fidanzata di Jonny, la cui femminilità viene rivista nei deliri e nelle tribolazioni mentali del protagonista in un ambito diverso da come la donna si pone, anche qui anticipando quella trasformazione di ruolo che investirà successivamente l'emisfero femminile. Infine il richiamo alla psicosi di massa, con gli episodi di conflitto nel luogo d’incontro e di condivisione, il corridoio, dove basta poco per innescare tensioni e lotte incontrollate. Grido d’allarme rimasto inascoltato, raccolto solo dal mondo del cinema che comincia in quegli anni a porre domande sul futuro solitario dell’uomo sempre più indifeso e frustrato, sempre più incanalato dentro quello stretto corridoio.
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