Regia di David Lowery vedi scheda film
"Lasciate ogne logica, voi che guardate", parafrasando il Sommo, in suo onore, a proposito di questa pellicola. Lo spettatore non si faccia domande per ciò che vede accadere, e soprattutto non si aspetti una soluzione finale, alla Agatha Christie, meglio lanciarsi nella corrente e lasciarsi trasportare dal flusso delle immagini, più che dalle parole, di cui il film è avaro. La fotografia è sontuosa, incredibile, l'audio è magnifico, e la scenografia è spettacolare, da togliere il fiato. Le interpretazioni degli attori sono molto buone, in generale, del resto si tratta per la maggior parte di attori inglesi, che in questo senso sono una garanzia. Ma sono molte le decisioni che sono state prese che prestano il fianco ad osservazioni critiche. Il tempo in cui si svolge la vicenda è stato spostato "solo" di ottocento anni, dal 500 d.c. alla fine del trecento, più o meno il periodo nel quale l'anonimo autore (secondo alcuni John Massey) scriveva l'opera dalla quale è tratto il film, negli stessi anni in cui Chaucer vergava i Canterbury Tales. Lasciando perdere le prevedibili libertà che il regista si è preso nella trasposizione della vicenda, licenze invero molto pesanti, la scelta per il ruolo del protagonista di un attore indiano (e indiana è pure l'attrice che interpreta la madre) dimostra atteggiamento cosmopolita ma a qualcuno la cosa potrebbe risultare un po' indigesta. La musica, che gioca un ruolo fondamentale nell'ambito della pellicola, non ha molto di medievale e celtico, ma può essere definita sperimentale o contemporanea, più adatta ad accompagnare un visitatore della Tate Modern che lo spettatore di una vicenda ambientata nell'antichità. Tra queste ed altre stranezze, alla fine sorge un dubbio: che ci sia anche un po' di fumo negli occhi.
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