Regia di Wes Anderson vedi scheda film
FESTIVAL DI CANNES 74 - CONCORSO/ CINEMA OLTRECONFINE/ AL CINEMA
The French Dispatch era il film di punta della sezione Concorso al Festival di Cannes 2020, la cui edizione non ha poi avuto luogo per gli effetti della pandemia da Covid 19. Contrariamente alla quasi totalità dei film concorrenti inclusi nella sezione, usciti poi in sala o in streaming col marchio prestigioso del festival, The French Dispatch, assieme a qualche altro sporadico caso come Tre Piani di Nanni Moretti, è stato congelato pazientemente in attesa di tempi migliori, che si sono materializzati con l'edizione 74 del medesimo Festival, ovvero l'edizione 2021, spostata da maggio a luglio sempre per questioni legate ai problemi pandemici.
A Cannes, impossibilitato ad entrare in sala alla première, il film ebbe una sola replica che scelsi di non vedere, preferendogli un titolo decisamente più misterioso, enigmatico e pieno di incognite come è tutt'ora Vortex di Gaspar Noè, di cui risulta ancora difficile preventivarne un uscita in qualsiasi soluzione. Ancora oggi ritengo di aver fatto bene a prediligere Noè, che con Vortex si è confermato un regista straordinario, impossibile e destabilizzante non meno delle sue precedenti esperienze. A questo punto ho atteso pazientemente l'uscita francese, avvenuta nemmeno un mese orsono, e mi sono avvicinato al film visionando la versione originale, prevalentemente in lingua inglese, con sottotitoli in francese.
Col risultato di esserne uscito stordito, confuso, impossibilitato a scriverne qualcosa di verosimile: quel turbine di parole che segna il percorso tortuoso delle 4+1 vicende che scorrono durante la visione mi è risultato davvero particolarmente faticoso da seguire, coinvolto come si è, inevitabilmente col cinema variopinto, dettagliato e naif di Anderson, a contemplare le meravigliose scenografie che ne arredano la vicenda.
Ne sarebbe pertanto scaturito, in quella circostanza, un giudizio solo di tipo formale, e per nulla entusiastico, se si eccettua l'effetto sempre stordente ed appagante che la contemplazione estatica suscita, soprattutto lungo il primo quarto d'ora sullo spettatore. Per una vita il doppiaggio italiano, orchestrato piuttosto bene, mi è sopraggiunto in soccorso i giorni scorsi, quando ho rivisto il film in Italia.
E il film, pur con alcune pecche che già intravedevo durante la prima caotica visione d'Oltralpe, mi ha soddisfatto decisamente di più rispetto al primo approccio.
Alla morte, giunta improvvisa e senza clamori, in perfetta sintonia col carattere dell'interessato, di un noto direttore di quotidiano, il French Dispatch, inserto domenicale di Liberty Kansas Evening Sun, pubblicato nella brulicante cittadina francese di Ennui (nome attribuito non a caso e visivamente immaginata, ricostruita nel set o almeno ispirata nelle intenzioni alla graziosa cittadina aquitana di Angouleme), i redattori e tutto il personale decidono di dedicare l'ultimo numero della rivista al suo creatore, a titolo di epitaffio celebrativo.
1) Nelle pagine iniziali dedicate alla cronaca, ne "Il cronista in bicicletta" un dinamico giornalista in due ruote si improvvisa cicerone descrivendo luci ed ombre di quel grazioso nucleo cittadino tutto vivacità e fermento.
2)Nella sezione Arti e artisti, con "Il capolavoro nel cemento", un detenuto in ergastolo per omicidio, Moses Rosenthaler, si riscopre pittore poi giudicato artista di massimo valore quando un altro detenuto, arrestato per evasione, nota i dipinti astratti che intendono descrivere la bellezza giunonica della bella carceriera-amante del prigioniero.
L'arte non è più rappresentare la realtà per come appare, ma per come essa viene percepita dalla propria sensibilità e rielaborata secondo un proprio stile personale. Il racconto a mio giudizio più bello e riuscito, girato prevalentemente in bianco e nero, tranne i commenti della vanesia presentatrice Tilda Swinton.
3)Nel comparto della cultura, con "Revisioni ad un manifesto", lo studente Zeffirelli di famiglia benestante, ma di ideali di sinistra, viene dapprima seguito e poi aiutato da una correttrice di bozze amica dei genitori, finendo per divenire ella stessal'autrice del manifesto di rivolta studentesca in un '68 infuocato di rivolte studentesche, ma con giovani incapaci di tradurre con parole efficaci l'impeto che li spinge ad agire.
4) "La sala da pranzo privata", nella sezione "profumi e sapori", vorrebbe essere dedicata al lavoro culinario di un celebre cuoco di origine asiatica, ma l'arguto giornalista che si occupa del pezzo finisce per concentrare la sua attenzione su un losco fatto di cronaca in cui alcuni balordi, dopo aver rapito un bimbo, vengono messi sotto scacco non tanto dalla polizia, quanto dall'astuta mossa del cuoco che, avvelenandoli, finisce per scoprire dopo anni un nuovo, straordinario quanto letale, nuovo sapore.
"Forse col tempo troveremo qualcosa che ci soddisfa in un luogo che chiameremo casa", si dice nel film, e di certo Wes Anderson questo luogo-rifugio lo ha trovato in Francia.
The French Dispatch è un atto d'amore al paese transalpino amato, e alla professione nobile di un giornalismo d'altri tempi, a cui si guarda ancora oggi con rispetto e devozione.
E tra un omaggio (più formale che sostanziale) di marcato effetto rivolto al grande Tati, tra episodi disparati per tematiche e durate che si fanno spazio tra le pieghe, come è doveroso, in un contenitore di notizie come un giornale, il film di Anderson finisce più per incalzare il pubblico col suo faraonico cast da "indovina il personaggio", che convincere davvero appieno, appagando la vista più che lo spirito, grazie ad una forma che spesso va oltre la vera sostanza, a differenza di molti altri bei film del cineasta. Forse The French Dispatch segna anche il punto di una svolta che si rivela ormai necessaria, in capo ad un autore di indubbio talento ed estro, probabilmente bisognoso di nuovi stimoli emotivi.
Nel cast ci sono tutti i suoi attori di sempre, ma anche notissimi altri non meno famosi, utili e perfetti a popolare un presepe di anime inquiete colorate e naif.
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