Regia di Stéphane Brizé vedi scheda film
Venezia 78. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica.
Se il mondo fosse perfetto il nuovo film di Stephane Brizé non avrebbe ragione di esistere e tanto meno inizierebbe da una coppia di coniugi seduti, come scolaretti, davanti ad un giudice chiamato a valutare le richieste economiche avanzate dalle parti per rendere efficace il divorzio. Ma non siamo in un mondo perfetto bensì in "Un autre monde", che ci fa battere il cuore come fossimo al cospetto dell'ennesimo "Jusqu'à la garde".
Grazie al cielo Brizé ci risparmia lo stolking violento per raccontare una separazione ordinaria, come ce ne sono tante, in cui marito e moglie discutono, mediano e magari si insultano senza però violare i limiti del buon senso. Philippe e Anne in fondo si vogliono ancora bene ma non riescono ad adattarsi ad una nuova fase della vita di coppia con i figli adulti che se ne sono già andati o stanno per spiccare il volo. In verità sono le promesse non mantenute da Philippe a causare il conflitto. La moglie lo accusa di aver dedicato gli ultimi anni della loro vita coniugale al lavoro. Un impegno totalizzante, sette giorni su sette, che ha permesso a Philippe di guadagnarsi la direzione di un florido stabilimento appartenente ad una multinazionale americana. Quel lavoro gli è costato parecchio, in termini di presenza familiare, ma, ci tiene a ribadirlo Philippe, la questione era stata discussa più e più volte prima che lui accettasse il lavoro. E il danaro, ricevuto in cambio del suo prezioso tempo, era servito per vivere adeguatamente e garantire la miglior educazione possibile ai figli.
Parte così, tra dissidi e ripicche "Un autre monde", film che segna il ritorno del regista francese in concorso a Venezia, ma non è un resoconto sulla separazione di una coppia. Almeno non è solo quello. Il regista, infatti, spariglia le carte alla notizia che l'azienda di Philippe deve ridurre i costi del personale in un'ottica di ristrutturazione. Una news che sposta l'attenzione da un menage familiare assai fragile ad una realtà sociale ancora più dura, fatta di tagli e licenziamenti su due piedi.
Il direttore, tra l'incudine e il martello, deve sottostare alle richieste dei vertici parigini, che poi vertici non sono in quanto il guru dell'azienda è uno yankee cazzuto che sta di là dell'oceano dove chiudere una fabbrica non è così complesso come in Europa dove il lavoro vale ancora qualcosa. La decisione, che lascia perplessi il manager, i lavoratori e gli altri quadri, si scontra con l'assenza di una reale ed immediata motivazione. L'azienda è florida e riesce a malapena ad evadere gli ordini con il personale a disposizione.
Le difficoltà di Philippe di accontentare apice e base della piramide danno al regista francese il pretesto per analizzare, con rigore documentario, le dinamiche aziendali. Brizé punta il dito contro i manager senza scrupoli che immolano i lavoratori sull'altare delle proprie elevate gratifiche, e si scontra con la filosofia della speculazione finanziaria la cui ottica miope prevede, spesso, il raggiungimento dell'obiettivo (di breve periodo) della crescita di valore tramite taglio dei costi e massimizzazione dell'utile da distribuire agli azionisti, spesso, essi stessi, lavoratori silurati nel nome del profitto. Brizé analizza il cortocircuito etico dei mercati in una videoconferenza che mette fine al progetto di Philippe di cercare una diminuzione dei costi in ambiti diversi dalla riduzione della forza lavoro. Del resto, si sa, la finanza e la borsa vivono di proclami ed un taglio del personale appare più efficiente del taglio dei benefit. Nell'ottica comunicativa la scelta di operare sugli stipendi più alti mostrerebbe l'inadeguatezza del manager nell'assumere decisioni impopolari per il bene dell'azienda. Meglio rinunciare a qualche posto di lavoro e tranquillizzare il mercato perché è questa la strategia che rassicura risparmiatori e azionisti.
In una situazione così delicata il disagio di Philippe finisce per coinvolgere il secondogenito Lucas su cui gravano attese radicate di successi scolastici e professionali. Stephane Brizé ci racconta la caduta di Philippe e della rivincita della dignità di fronte al successo economico-lavorativo. Toccato il fondo del barile il manager, interpretato da un suntuoso Vincent London, respinge al mittente dictat e ricatti e si lascia influenzare da quell'etica del lavoro dimenticata dai vertici societari. Una decisione che porta in seno un contraccolpo emotivo da metabolizzare con pazienza e ritrovata serenità. Svuotato da pesi e responsabilità ma fiero dell'integrità che gli è propria Philippe è pronto, forse, per tornare padre e forse, chissà, anche marito.
Brizé ci regala un ritratto di uomo a tutto tondo, senza retorica e senza ricatti emotivi. Philippe è un uomo come altri: padre assente, lavoratore incallito, all'occorenza bugiardo. Per contro è tenace, volitivo, capace di fare un passo indietro e difendere le proprie posizioni.
Dialoghi ficcanti e una sceneggiatura precisa fanno della realtà un dramma dell'assurdo elevando "Un autre monde" a proclama solenne dell'integrità, troppo spesso violata, del lavoro.
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