Trama
Philippe Lesmele, un manager, vede il matrimonio con la moglie disgregarsi. Si è fatto inghiottire a poco a poco dalle pressioni del suo lavoro e la donna non sopporta più la situazione. Dirigente di un'industria statunitense, Philippe non sa più come reagire alle richieste contraddittorie dei suoi superiori. Con le spalle al muro, raggiungerà presto un inevitabile punto di rottura.
Curiosità
INTERVISTA AL REGISTA
Cosa lo ha spinto a raccontare la storia di questo dirigente?
Il film ritrae un dirigente che sta perdendo il senso della sua vita mentre il suo matrimonio si sta disintegrando e che combatte sempre di più per trovare una certa coerenza in un sistema che serve da anni. Un sistema in cui è diventato estremamente complicato per lui imporre gli ordini che riceve dall'alto. Molti dirigenti hanno raccontato al mio co-sceneggiatore Olivier Gorce e a me di come le loro vite personali e professionali vengano gradualmente svuotate si significato perché non viene più chiesto loro di pensare ma semplicemente di agire. Abbiamo voluto dare conto delle conseguenze del lavoro di coloro che sono considerati i primi luogotenenti delle loro compagnie ma che in realtà sono semplicemente individui che si ritrovano tra l'incudine e il martello.
Il film è stato pensato prima della crisi generata dal coronavirus. Tuttavia, ha una fortissima risonanza oggi nel mostrare un sistema essenzialmente incoerente che si sta esaurendo.
Nessuno di noi avrebbe mai potuto immaginare la straordinaria crisi sanitaria che stiamo vivendo. Se da un lato può essere vista come una fonte di caos quasi senza precedenti, dall'altra può essere considerata come un'opportunità per porci delle domande, per trasformare la costrizione in vantaggio e non essere i perdenti della storia. È come quando i nostri corpi o la nostra psiche collassano e costringono la macchina a fermarsi, indicando che abbiamo dimenticato di mettere in discussione qualcosa di essenziale ma intangibile, un punto cieco nella nostra vita. È una metafora del disordine del nostro mondo sulla scala di un individuo: i profondi sconvolgimenti che attraversa il protagonista lo costringono a mettere in discussione le sue azioni, le sue responsabilità e il suo posto all'interno dell'azienda e della sua famiglia.
Sebbene siano riconoscibili gli elementi realistici che caratterizzano il suo cinema, notiamo subito una rottura quasi netta nella messa in scena. In particolar modo, con La legge del mercato e In guerra.
Aggiungerei anche con Una Vita, Une Vie. La messa in scena di questi tre titoli era finalizzata a catturare la realtà. Era un po' come se i personaggi avessero accettato la presenza di una macchina da presa nella loro vita quotidiana. Questa volta, invece, ho voluto reintrodurre un elemento di finzione molto forte, pur continuando a lavorare con un cast di non professionisti al fianco dei tre attori principali: Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain e Anthony Bajon. La videocamera non è più posizionata in un luogo alla "mi metto dove posso": è ora posizionata in un punto da dove può restituire un resoconto molto più soggettivo della situazione, personale o professionale che sia. I molteplici punti di osservazione in alcune scene riflettono la sensazione di accerchiamento, di confinamento del personaggio. I problemi gli arrivano da tutte le parti, non gli lasciano tregua: come un uomo in mare su una barca che fa acqua dappertutto, deve impedire all'acqua stessa di entrare da tutte le fessure.
Quindi, ha usato più camere per certe sequenze?
Tre al massimo, anche se potevano essercene molte di più. Non impongo nessuna posizione prefissata agli operatori di ripresa: lascio loro liberi di riesaminare costantemente l'inquadratura per trasmettere la tensione di certe situazioni. Le scene richiedono molto tempo per essere girate, un tempo molto più lungo di quello che lo spettatore vede alla fine. Il che si traduce in una fatica fisica pesante per tutti. Il mio scopo, moltiplicando i punti di vista, era quello di dare maggior senso di oppressione e soffocamento al personaggio, di far capire che è come se avesse un cappio intorno al collo sempre più stretto.
Come ha costruito la storia?
Ovviamente, non prendo in considerazione l'azienda o la famiglia solo come luoghi di nevrosi, tensioni e violenze. Quando raccontiamo storie di treni che arrivano in ritardo, lo facciamo per capire per quale ragione accada, per aprire delle finestre sul disservizio e trovare risposte. Anche nel mio film, si deve guardare alle ragioni del fallimento. Ho voluto quasi restituire il punto di vista opposto a quello di In guerra, coniugando costantemente sfera privata e lavorativa, personale e professionale. Tutti i dirigenti che Oliver Gorce e io abbiamo incontrato sono stati tutti dimensionati, anche se negli anni hanno eseguito tutti gli ordini che il sistema imponeva loro senza discutere. Hanno lavorato nell'industria metalmeccanica o metallurgica, bancaria, assistenziale, pubblicitaria, assicurativa o cosmetica. Tutti erano dotati di enormi capacità intellettuali o gestionali. Tutti lavoravano per società di proprietà di multinazionali e quotate in borsa. Questi dirigenti ci hanno parlato del loro disagio, della loro difficoltà a gestire la sensazione di essere semplicemente diventati la cinghia di un sistema feroce e pieno di ingiunzioni contraddittorie. Parlavano della loro ansia di non essere all'altezza del compito che ci si aspettava da loro. Non sono carnefici nati che annunciano licenziamenti a cuor leggero ma pian piano sentivano che lo stavano diventando, perdendo di vista il senso delle loro stesse vite. Alcuni hanno avuto un esaurimento, altri hanno perso le simpatie dei loro capi e sono stati messi da parte, e alcuni se ne sono andati prima di crollare. Tutti hanno parlato dell'inevitabile impatto sulle loro famiglie. Philippe Lemesle è uno di loro, un ragazzo ben intenzionato che, sentendosi con l'acqua alla gola, si chiede cosa della sua vita personale meriti di essere sacrificato per il suo lavoro.
E con Another World, siamo catapultati nella vita di uno di questi dirigenti?
Philippe Lemesle si muove tra i vincenti della società, nell’ambiente dei dirigenti d’azienda, della meritocrazia, tra le cosiddette “storie di successo”. Come si può ammettere di provare dolore, di essersi perduti, quando si è parte dell’élite? Lamentarsi apparirebbe vergognoso agli occhi di chi vive in condizioni meno agiate, e un segno di debolezza imperdonabile agli occhi suoi e di quelli come lui. In un mondo simile non si può – non si deve – essere deboli. È vietato, per non correre il rischio di umiliarsi ed essere sostituiti da un altro più giovane e dinamico, o da qualcuno che non metterà in discussione quello che gli si richiede di fare. In un mondo simile sembra che non si possa più godere del diritto di contestare ordini che vengono dall’alto e che in fretta devono essere imposti in basso. Philippe si ritrova dunque in una posizione di enorme solitudine in cui forse non ha più scelta. Ne vale della sua libertà personale, una questione che ovviamente affronto.
Trailer
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Commenti (8) vedi tutti
Bello spaccato sulla realtà di avvenimenti economici e finanziari.
leggi la recensione completa di tobanisUltimo film di una trilogia del regista sul mondo del lavoro dopo La legge del mercato (2015) e In guerra (2018).Da vedere ha un alto valore morale ed etico.
leggi la recensione completa di claudio1959Il capitalismo e le conseguenti leggi di mercato hanno risvolti negativi anche nella vita privata, creando tensioni nei rapporti famigliari attraverso una strisciante forma di ricatto economico. Montaggio e tempi cinematografici innovativi ma molto efficaci. Grande regia, ottimi interpreti e musica appropriata.
commento di iroUn crudo lavoro che dimostra come le leggi di mercato possano influire sulla vita lavorativa delle persone.Rigoroso.
commento di ezioUn film notevole fatto di dialoghi serrati. Giustificati nei momenti più drammatici, inutilmente verbosi in altri. Comunque i francesi hanno molti difetti ma sono gli unici a tenere ancora la testa alta di fronte al dilagante liberismo neofeudale, sfruttatore, ipocrita che imperversa nella società odierna.
commento di bombo1bello e rigoroso
commento di garanceNiente di che, a parte la noia.
commento di gruvierazStéphane Brizé fa un cinema che tende ad indagare da vicino i tentacoli anonimi del liberismo. Un Ken Loach a cui però manca la profondità etica dello sguardo. "Un altro mondo" parla della presa di coscienza di un manager di successo che impara a capire che il profitto ad ogni costo non vale la regressione morale del genere umano. Film onesto.
commento di Peppe Comune