Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Nonostante il cast sfavillante ed un alto livello tecnico e scenografico, ancora una volta manca a Guillermo del Toro il colpo di genio o la profondità che porti il suo film oltre la seppur buona media. Forse il limite maggiore è uno sviluppo narrativo troppo semplice e lineare per un film sull'inganno e la manipolazione.
Nel 1939 Stanton “Stan” Carlisle (Bradley Cooper), dal passato oscuro, trova lavoro in un luna park itinerante, gestito dal cinico approfittatore Clem (Wilelm Dafoe). Stan fa amicizia con molti dei saltimbanchi, tra cui la coppia di chiaroveggenti (Toni Colette e David Strathairn) da cui apprende i segreti per fingere capacità di spiritismo attraverso un ingegnoso sistema di codici verbali, e si lega sentimentalmente alla “donna elettrica” Molly (Roonie Mara). Lasciato con lei il circo e raggiunti fama e successo con le esibizioni “mentaliste” nei locali esclusivi di città, vi incontra una conturbante psicologa dell'alta società, Lilith Ritter (Cate Blanchett), professionalmente a conoscenza di segreti che possono rivelarsi utili a turlupinare ricchi ed influenti personaggi con qualche dolore irrisolto o scheletro nell'armadio.
Nightmare Alley, primo film realizzato da Guillermo del Toro dopo aver vinto Oscar e Leone d'Oro con La Forma dell'Acqua, è un remake di una pellicola del 1947 con Tyrone Power, diretta da Edmund Goulding.
L'elemento soprannaturale, ricorrente nella filmografia del regista (La Forma dell'Acqua, Il Labirinto del Fauno), in quest'opera viene sublimato come finzione, dato che i poteri divinatori che fanno muovere la trama sono abilmente finti e millantati, frutto della capacità di intuizione e dell'allenamento dello spirito di osservazione per sfruttare la credulità dei “gonzi”, ma soprattutto il disperato bisogno di ritrovare una connessione con chi non c'è più e non si riesce a lasciar andare.
Stavolta però prevalgono gli elementi del noir, che permettono al regista di evocare le atmosfere tenebrose e torbide peculiari del genere del film originale, mentre la lunga introduzione tra i freaks del circo, tra cui uno sciagurato “uomo bestia”, esposti alla morbosa curiosità del pubblico pagante, gli permette una citazione di The Elephant Man oltre che ovviamente di Freaks di Browning.
Del Toro stavolta firma un film sull'inganno, sul cinico gioco che chi è furbo e spregiudicato può compiere sui sentimenti di chi, nonostante ricchezza e potere, è vulnerabile perché non si rassegna alla perdita di una persona cara o vive nel rimpianto per gli irreparabili errori del passato. Ma è anche una storia di ascesa e caduta, non solo sociale ma soprattutto morale, con Stan che mostrava dapprima empatia verso lo sciagurato uomo-bestia del luna park e diventa poi sempre più immorale nello sfruttare cinicamente le debolezze e dolori altrui per sete di denaro. Ma attenzione a chi si crede più astuto di tutti: potrà venire beffato e battuto al suo stesso sporco gioco.
Il film è senza dubbio ben girato, vanta molte splendide scenografie (il tunnel dell’orrore del luna park, lo studio della psicologa, l'arcigna magione del magnate) ed un'ottima fotografia che riesce a suscitare atmosfere evocative tra ombre noir, pioggia battente e neve avvolgente.
Un grosso punto di forza è il cast stellare, che vede una solida prova da protagonista di Bradley Cooper nel tratteggiare l'ambizioso imbonitore Stan e una al solito straordinaria Cate Blanchett, sempre smagliante nei ruoli anni '40 come quello che le ha regalato il suo primo l'Oscar (consiglio di vedere film lingua originale per sentire le magie che fa anche con la voce).
Vi sono momenti di alto livello cinematografico e coinvolgimento emotivo (il primo incontro-sfida tra Stan e Lillith, il beffardo finale), tuttavia incontro anche in Nightmare Alley un limite in cui sempre mi imbatto nelle ben confezionate opere Guillermo Del Toro: manca un colpo d'ala o di genio o forse una profondità realmente toccante e quindi quei momenti “alti” rimangono parentesi in un'opera che nel suo complesso si accontenta di restare sulla (buona) media senza osare il sublime. Nonostante la indubbia bravura di tutti gli interpreti, manca nella scrittura dei personaggi qualcosa che ce li faccia amare od odiare fino in fondo, perché, nonostante la durata considerevole dell'opera, la loro caratterizzazione non è sempre approfondita.
Ed infine, forse il limite maggiore, lo sviluppo narrativo risulta eccessivamente semplice e lineare per un film sull'inganno e la manipolazione. Magari anche noi spettatori avremmo volentieri pagato per essere presi per “gonzi”, come ha fatto Christopher Nolan tramite gli illusionisti di The Prestige, invece di capire subito tutto in un film a cui avrebbe giovato dovuto ammantarsi di maggiore mistero.
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