Regia di Guillermo Del Toro vedi scheda film
Un altro capolavoro da parte di un artista che ama il mezzo cinematografico tanto quanto è disposto a polemizzare sulle tendenze di un’industria cinematografica sempre più complicata da inquadrare. Da non perdere e da non sottovalutare.
L’industria dell’arte e dell’intrattenimento vive di artifici, illusioni nate con la finalità di manipolare lo spettatore controllando la natura più inconscia della sua psiche per conquistare la sua fiducia e la sua ammirazione. Lo spettatore probabilmente vive con alle spalle un rimpianto, un dolore, una sorta di cicatrice che non riesce a cancellare dal suo passato e che egli ha il bisogno di alleviare attraverso la finzione e lo spettacolo. L’uomo subisce l’arte e si fa ingannare da essa per via della sua necessità di trovare una dimensione in cui vivere che sia migliore della vita che lascia nel momento in cui inizia l’illusione. E quindi lo spettatore moderno entra nella sala cinematografica con una precisa idea di cosa vuole vedere e si lascia volutamente ingannare dalle bugie dell’artista, perché l’illusione è per lui un’anestesia che lo può aiutare a far passare il dolore che lascia dietro di se.
Lo vediamo sempre più spesso nel cinema moderno il tentativo di andare incontro al desiderio intimo del pubblico meno esigente, cercando maggiormente di assecondare il volere della massa di spettatori paganti, mettendo così in secondo piano la sincerità e l'onestà intellettuale dell'opera.
Non è per nulla assurdo vedere la parabola del mentalista Stan Carlisle come una metafora dell’ascesa mediatica dell’artista moderno, che vive di artifici rubati da altri artisti venuti prima di lui e fa della manipolazione emotiva il suo cavallo di Troia necessario a nascondere il vuoto che c’è dietro ai suoi virtuosismi. In un ritratto socio-politico in cui la storia e il conflitto internazionale pesano sulla coscienza e sull’etica dell’uomo, Del Toro esplora le conseguenze di un’arte che riempie l’uomo di bugie consolatorie e indulgenti, opprimendolo in una dimensione di insoddisfazione e falsità che lo porta a non reggere più il peso del proprio dolore.
Il protagonista dell'opera è spinto a compiere tale inganno nei confronti del proprio pubblico perché desideroso di ribaltare il proprio ruolo sociale, arricchendosi sulle spalle dell'ingenuità e dell'ignoranza di altri.
Il ruolo del personaggio interpretato da Cate Blanchett è quindi importantissimo, non solo come decostruzione della figura della Femme Fatale del noir americano, ma proprio per il suo ruolo nello psicoanalizzare il nostro protagonista, chiarendo così la sua dimensione di approfittatore e scalatore sociale che necessita di comportarsi in tal modo per sopravvivere in un sistema capitalista che tende all'autodistruzione del proprio se. Non è casuale neppure l'ambientazione della storia, in quanto Del Toro ambienta il suo film durante la Seconda Guerra Mondiale, mostrando quindi il percorso di un uomo che diventa sempre più egoista e voglioso di potere coincidere con quello di un'America post-Grande Depressione ancora molto divisa e sofferente a causa delle cicatrici lasciate dalla crisi economica. Un'America che ha quindi imparato ad agire per il proprio desiderio edonistico quanto il protagonista e che vive ancora nell'illusione di un'idiliaco sogno americano di meritocrazia e auto-realizzazione che entra in conflitto con la realtà dei fatti.
L'intenzione dell'immagine nel film di Del Toro è quella di smascherara la finzione, ridurre a guscio vuoto l'artifizio per svelare gli inganni che ruotano attorno al mezzo artistico. Le sequenza legate al concetto di mentalismo non servono solamente come pretesto narrativo, ma assumono invece il ruolo importante di presentare all'interno dello stesso film il modo in cui noi spettatori subiamo e consumiamo l'arte dello spettacolo.
La fotografia mira sempre a ricreare gli ambienti e gli stilemi visivi di generi come il noir e l'horror, richiamando al suo intento numerosi elementi del cinema di genere classico, ma soprattutto ribaltando i ruoli su cui tali generi si basano.
Lo spettatore non è più così cullato nella sua gabbia di sicurezze e certezze, ma come il personaggio di Bradley Cooper è sballottato da una parte all'altra del film, costretto a subire le conseguenze di ogni azione compiuta nel nome della bugia e del desiderio di fama.
Stilisticamente stiamo quindi parlando di un lavoro che rasenta la perfezione, dove le luci e gli spazi non sono solo un'abbellimento visivo, ma sono importanti per la costruzione del film e la decostruzione dei generi adoperata dal regista.
La struttura narrativa è per forza di cose costretta a prendersi i propri tempi per approfondire ogni argomento importante all'intento dell'opera. Ma il film, nonostante la sua lunghezza, non cade nemmeno in un momento morto, riesce sempre a rialzarsi e a mantenere vivo l'interesse, perché la regia di Del Toro dialoga con le luci e le immagini, ipnotizzando lo spettatore dentro un mondo in cui si sente intrappolato quanto i suoi protagonisti.
L'opera è ovviamente collegata alla poetica del suo autore ed è quindi impossibile non parlare di Del Toro senza fare riferimento al rapporto tra Eros e violenza.
L'uomo all'interno del cinema di Del Toro è il mostro che distrugge la sua stessa vita, conducendo se stesso e i propri cari in una spirale di dolore, rischiando spesso di varcare il confine tra il proprio desiderio e la propria etica.
L'eros non è solo causa della violenza umana, ma è anche strega tentatrice nei confronti del singolo. Il sesso è manipolazione dell'inconscio ed è fondamentale nel contesto di un'opera che si pone molti dubbi sul confine tra il giusto e il proprio interesse personale.
L'uomo diventa mostro per non far crollare il mondo che ha costruito con tanta cura e continuare così a vivere nell'illusione del proprio potere. Ma la corruzione rende comunque l'essere umano carnefice e quindi la necessità di venire a patti con il proprio passato e con i propri peccati diventa un procedimento necessario alla salvaguardia della propria anima, che si logora fino a cancellare ogni nostro senso morale o di dignità.
Del Toro riesce quindi magistralmente a coadiuvare il cinema di genere con il discorso teorico che porta avanti il suo cinema, distaccandosi così dall'immagine mainstream di autore premio Oscar per fare un film che di mainstream ha solo gli attori.
Ed ovviamente non manca nemmeno la critica alla mercificazione dell'arte e al declino dell'artista.
Se l’artista deve affrontare la fine della sua arte a causa del peso di bugie e insincerità che ha creato, l’industria d’altro canto non va incontro allo stesso destino. L’industria dell’intrattenimento va avanti, si crogiola nella sua finzione e nelle sue illusioni, finendo per togliere all’artista pure la buona volontà di aiutare gli spettatori con le sue bugie. Togliendo sincerità alla sua arte, l’industria toglie l’umanità all’artista, riducendolo a un manichino utile solo per essere usato, gettato via nel momento in cui viene meno al suo compito e infine rimpiazzato con altri disperati come lui, pronti a diventare bestie al servizio dell’industria. E per quanto l’artista stesso viva creando illusioni, la più grande bugia è quella raccontata a se stesso, ovvero quella di avere in mano la bussola della propria vita, nonostante viva volontariamente in un sistema che opprime lui e chi ama per il proprio benessere economico. L’uomo si illude di essere diverso, di essere superiore alle bestie che tanto denigra.? Ma la verità è che egli, fintanto che procede all'interno di tale spirale infernale, non può fare a meno di andare incontro al proprio destino con un viscido e triste sorriso.
"I was born for it"
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