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Qui rido io

Regia di Mario Martone vedi scheda film

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La recensione su Qui rido io

di barabbovich
7 stelle

C'è Martone all'ennesima potenza in Qui rido io. C'è Napoli (Morte di un matematico napoletano, L'amore molesto, Capri-Revolution), ci sono la storia (Noi credevamo) e il racconto biografico (Il giovane favoloso), c'è il teatro (Teatro di guerra) e i copioni di Eduardo De Filippo (Il sindaco del Rione Sanità), così come ci sono gli attori di tanti suoi film (Toni Servillo, Roberto De Francesco, Iaia Forte). Impossibile, dunque, pensare che il regista partenopeo a questo giro non potesse fare centro. E infatti così è. Nel ricostruire la biopic di Eduardo Scarpetta, l'attore e commediografo che nella Napoli della Belle Époque (siamo agli inizi del Novecento) era il re indiscusso del botteghino, Martone imbocca la strada impervia del più grande insuccesso del comico napoletano: quello in occasione del quale Scarpetta decise, improvvidamente, di portare a teatro la parodia di La figlia di Iorio, dramma di Gabriele D'Annunzio (all'anagrafe Rapagnetta, con utile sottolineatura filmica). Il vate se ne ebbe a male e trascinò in tribunale l'autore di capolavori come Il medico dei pazzi e Miseria e nobiltà. Ma qui il genio istrionico del grande comico - grazie anche al sostegno di Benedetto Croce (Musella) - ebbe un clamoroso battito d'ali.
La cosa che più colpisce del film di Martone è l'acre, duplice contrasto tra il circondario del protagonista - con due famiglie, una delle quali composta dai tre figli illegittimi De Filippo, tra loro in contatto talmente esplicito da rasentare la promiscuità - e la solitudine di quest'uomo egocentrico e tirannico fino al parossismo. Ma colpisce ancora di più la contrapposizione tra l'ilarità che il personaggio emblematico di Scarpetta - quel Felice Sciosciammocca che, nell'immaginario dei napoletani, aveva soppiantato la figura di Pulcinella - dovrebbe richiamare e il registro plumbeo col quale Martone ricostruisce la vicenda.
Menzione a parte per l'ennesima prova maiuscola di Toni Servillo, straordinariamente a proprio agio nel rappresentare una delle punte di quella Napoli fucina di talenti straordinari, che in quegli anni aveva partorito figure come Salvatore Di Giacomo e Libero Bovio.

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