Regia di Abel Ferrara vedi scheda film
Clint vive isolato dal mondo: fa il barista in mezzo al gelo della Siberia e di rado vede qualche cliente. A dispetto della quiete esteriore, l’uomo cela in sé più di un segreto inconfessabile.
C’è una Siberia geografica, posta nella zona orientale della Russia, e una Siberia dell’anima, dentro di noi, dove rimangono racchiusi i nostri traumi, i rimorsi, i sogni infranti e tutto ciò che ci ha causato emotivamente dolore. Entrambi sono luoghi impervi, difficili a raggiungersi e che, una volta raggiunti, è ancor più complicato abbandonare. Questo pare essere in buona sostanza il discorso che sorregge la pellicola di Abel Ferrara, regista e sceneggiatore (insieme a Christ Zois), affidata a Willem Dafoe per una ponderosa prova d’attore… e di doppiatore, essendosi personalmente doppiato in italiano nella versione destinata ai nostri schermi (Dafoe è sposato con l’italiana Giada Colagrande e ha la cittadinanza del Belpaese). Il verbo “pare” utilizzato nella precedente frase è però fondamentale: in Siberia c’è tanto da intuire, molto poco viene esplicitato e la suggestione delle immagini – qua e là assolutamente potente, va riconosciuto senz’altro – si sostituisce alla drammaturgia vera e propria. Anche il montaggio di Fabio Nunziata e Leonardo Bianchi ha un ruolo determinante nella pellicola, sebbene certi tagli drastici (e repentini aumenti spropositati di volume) infastidiscano oltremodo; accanto a Dafoe compaiono in scena Dounia Sichov, Cristina Chiriac, Daniel Gimenez Cacho e Simon McBurney. 4/10.
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