Regia di Matt Reeves vedi scheda film
Gloomy Batman. Un Batman da seduta psichiatrica antidepressiva. Oscuro è oscuro, cupo è cupo, tenebroso, “tormentato e avvilito” lo è ma… coinvolgente? ‘Nzomma. Di certo è troppo lungo, oltreché gravato da una lentezza francamente ben poco giustificata, considerata la trama e considerato che si tratta di un film di supereroi e mica di Bergman o Mizoguchi.
Diversamente da quel che si può sostenere per Il cavaliere oscuro, qui l’essersi presi troppo sul serio, l’aver tentato con sin troppa pervicacia la via “profonda ed introspettiva” (si fa per dire), non ha pagato.
Forse – e sottolineo forse – evita il ridicolo involontario à la Snyder (il quale, d’altronde, detiene il quasi-monopolio al riguardo), tuttavia il film di Reeves scivola qua e là nel pressapochismo di scrittura e nell’ansia da prestazione, consistente nel voler a tutti i costi distinguersi creando un film giusto vagamente più “artsy” della media di genere. Ma dal livello al massimo discreto mai si discosta.
"L'immensità del ca---..." insomma, s'è capito.
Il problema principale risiede nel fatto che – al termine della proiezione – dell’opera comincia presto a svaporare il ricordo. Salvo forse che per la scena prefinale con Batman in versione “pifferaio” si fatica a richiamare un solo momento che si meriti l’appellativo di memorabile; sul fronte delle interpretazioni ci si barcamena tra lo svogliato e il monotono (con le uniche due – ovvie – eccezioni dell’irriconoscibile Farrell nei panni del Pinguino [forse colui che si “impegna” di più] e di Dano/Enigmista, invece costantemente sopra le righe); le scenografie non s’impongono certo per grandeur visiva, a cominciare da una Bat-caverna “impalpabile”, e comunque la metropoli perennemente percossa da piogge torrenziali sa tanto di manierismo almeno dal 1995; i costumi stessi appaiono quasi approssimati (si veda Batman che pare essersi travestito per Carnevale o Halloween, con una maschera "posticcia" che manco al negozio di costumi più scrauso e peraltro con in dotazione delle incudini al posto delle scarpe; e si veda poi Catwoman stessa con quel passamontagna storto sopra la tutina...); la fotografia risulta a tratti davvero troppo buia e cupa, quasi da far perdere cognizione del dove e come; e della colonna sonora che vorrebbe porsi a nuova “hit” martellante si ricorda soltanto – per somma ironia della sorte a scorno del compositore – il doppio intervento dei Nirvana di Something in the Way.
Paura, eh?
Ma, inutile girarci intorno, è la sceneggiatura il vero punto dolente: in quanto non ha il senso della misura, accumula troppe suggestioni (nell’illusione che questo significhi aver qualcosa da dire) e ci “regala” dei dialoghi meramente espositivi quando non in pericoloso equilibrio sul filo dell’autoironia involontaria.
Vedere ripetutamente Batman – ovvero, un tizio travestito da pipistrello – camminare con mooolta calma tra scene del crimine in mezzo a frotte di poliziotti, quasi come se niente fosse, alla lunga fa sorridere; gli enigmi proposti sono così complicati che il nostro ci mette, di media, cinque secondi a risolverli (e lui e Gordon insieme più che Sherlock Holmes e Watson sembrano Gianni e Pinotto); per non parlare poi della sottotrama concernente Catwoman che sinceramente si sarebbe potuta tranquillamente tagliare senza togliere niente al film (anche perché non si può propriamente dire Kravitz spicchi nel ruolo).
Inoltre, le scene in cui il protagonista si suppone dovrebbe incutere una sorta di timore reverenziale – come quella iniziale alla fermata della metropolitana o quella al termine dell’inseguimento in auto col Pinguino – in realtà lasciano indifferenti, e di conseguenza si fatica a credere che i personaggi stessi possano seriamente sentirsi minacciati dalla presenza di questo Batman catatonico e un poco mingherlino.
Tra l’altro, quando ritorna Bruce Wayne il nostro si limita sostanzialmente a girare spiritato per casa o nei saloni con lo sguardo vitreo e l’espressione imbambolata di chi non sa bene dove si trovi e perché (esemplare a questo proposito la scena del funerale). E finisce per fare, alla fine, la figura del bamboccio viziato. Non a caso in molti l’hanno ribattezzato l’emo-Batman (inevitabile la rivalutazione della prova “nolaniana” di Bale il quale – pur alquanto ingessato rispetto ad altri film di cui è stato protagonista – sicuramente batte Pattinson 10 a 1 in quanto a credibilità).
Parentesi: già solo parlare di approfondimento psicologico – chiamato in causa da regista e protagonista – sa tanto di presa per i fondelli, considerato che il personaggio al termine della visione appare esattamente uguale a se stesso e non bastano delle voice over un po’ pletoriche a nascondere questo tragico(mico) fatto: che è impossibile ravvisare qualsivoglia percorso di crescita reale ed effettivo per ciascuno degli attori in gioco (e con tre ore di tempo, sinceramente, la cosa è ingiustificabile).
"Dai, staccate n'attimo ragazzi, è ora di cena. A tavola!"
Le sequenze d’azione, poi, sono poche (e va beh) e mediocri (va già meno beh), e in quella dell’inseguimento sull’autostrada si provoca un incidente di tale portata che come minimo decine di persone ci saranno rimaste, e ciononostante il prode eroe mascherato non sembra interessarsene granché, palesando un’indifferenza morale ed emotiva francamente quasi inquietante (alla faccia dei dilemmi esistenziali del personaggio, che al dunque si riducono alla sola “terribile” scoperta sulla figura del padre, forse non così puro e intonso [ueeeh! ueeeh!]).
Stendiamo un velo pietoso, infine, su certi ingenuotti buchi narrativi (tra cattivoni furbissimi che scoprono tutte le loro carte e città sommerse che si “prosciugano” in quattro e quattr’otto).
Insomma, si tratta di un mezzo disastro di film, e in parte dispiace: primo, perché il personaggio conserva pur sempre un certo fascino; secondo, perché il tentativo di realizzare qualcosa di diverso rispetto alle scemate multicolori predominanti nel cinema supereroico di per sé era apprezzabile. E’ però il risultato finale a non esserlo. E se, a primo impatto, si potrebbe perfino fare i magnanimi e concedere una risicatissima sufficienza, la consapevolezza a freddo di aver sprecato tre ore di vita per vedere un’opera che non ha nulla di rilevante da dire e/o mostrare conduce rapidamente al “donare” un’insufficienza piena. Perché quando l’intrattenimento si tramuta in ammorbamento reiterato e sfacciato è ora di alzarsi da quello schienale e scappare a gambe levate. The Passion of the Moviegoer
"Guarda che so' Wayne, Bruce Wayne" | "Ah, un bastardino privilegiato bianco, an infame!" | "Che tesoruccio che sei..."
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