Regia di William A. Seiter vedi scheda film
Impareggiabili i Marx Brothers, pur in una commedia non particolarmente brillante e non scritta appositamente per loro. L’epoca d’oro dei geniali fratelli, segnata da immortali capolavori (ma non solo), quali Una notte all’opera, La guerra lampo dei fratelli Marx e Un giorno alle corse, volge al termine, ma, in Room Service, riescono comunque ad offrire indubitabile prova del loro immenso (e saccheggiato a profusione …) repertorio comico.
Naturalmente al mitico Groucho spetta il compito del mattatore, sovrano indiscusso nello sbeffeggiare qualunque cosa si trovi a portata di baffo, perfidamente proteso verso il malcapitato di turno. Il suo ruolo è quello di Gordon Miller, spiantato e truffaldino produttore teatrale alla perenne ricerca di finanziatori per mettere in scena un dramma sui minatori; suoi complici sono Harry Binelli (Chico) e Faker Englund (Harpo). Gordon alloggia in una stanza dell’albergo diretto dal cognato, col quale contrae il considerevole debito di 1.200 dollari, dovuto anche al fatto che ivi sono ospitati gli attori dello spettacolo. La situazione precipita quando all’improvviso giunge un supervisore dell’albergo, fortemente determinato a chiarire la faccenda e dare la caccia a Miller, il quale si vede pertanto costretto a darsi alla fuga, non fosse che una delle attrici, Christine (Lucille Ball), gli organizza nella sua camera un incontro con un probabile (e misterioso) finanziatore. E nel frattempo, arriva pure il campagnolo autore del dramma, Leo Davis (Frank Albertson), squattrinato a sua volta, e piuttosto ingenuo …
Classica (e convenzionale) commedia degli equivoci, quindi, affollata da personaggi strambi e caratteristici (il cameriere russo, o il dipendente di un’agenzia di recupero crediti che periodicamente e casualmente irrompe in scena - come l’uomo che cerca la signora Jones in Hellzapoppin’) e quasi del tutto ambientata nella camera di Miller, che fa fatica specie nella prima parte, poco ispirata e che si trascina quasi stancamente fino a risollevarsi, con un (appena) discreto crescendo, verso il finale. La sceneggiatura poco ingegnosa e vivace, unita ad un ritmo altalenante, riduce la portata comica del trio, che risulta così quasi imbrigliata ed incanalata da scenette spesso non molto efficaci né precise. Ciò detto, non mancano battute o dialoghi godibili, che, nelle mani (e nelle insolenti bocche) dei terribili fratelli Marx, diventano irresistibili. A Groucho (invero non al suo meglio) sono affidate alcune gags ch’egli conduce con proverbiale (ed inimitabile, checché se ne dica) maestria. Ad esempio, quando, nel presentare allo scrittore il resto dello staff, così introduce il pagliaccesco Englund/Harpo:
“… e il signor Englund, cervello della compagnia. Ciò le dà un’idea dell’organizzazione …”.
Oppure, in uno scambio sempre con lo scrittore, deluso perché ha capito con che razza di gente ha a che fare, che gli dice:
“- Lei mi ha scritto che era un grande impresario!
- Sono un grande impresario. Un grande impresario non investe mai il suo denaro.”.
I momenti migliori però portano la firma muta di Harpo Marx e della sua verve allucinante e devastante, che vede il suo apice nella grandiosa scena del pranzo (pare davvero che sia stato diciotto ore a digiuno …). Mentre Chico s’industria come può, con esiti certo non esaltanti, ma il solido mestiere aiuta.
Come detto, tutto ha origine da un testo debole e da uno sviluppo dei personaggi approssimativo ed inoltre poco divertente, il che non è propriamente ideale se si vuole realizzare un film comico.
Da segnalare infine, nel ruolo della segretaria del direttore d’albergo che s‘innamora, ricambiata, dello scrittore (dopo manco una manciata di secondi …), l’attrice Ann Miller, la “Coco” di Mulholland Drive.
Corpo di mille bombe!
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