Regia di Peter Berg vedi scheda film
Per capire la natura di un film come "Spenser Confidential" basterebbe limitarsi all’analisi del titolo e vedere in che modo i suoi presupposti incidono sul risultato finale. Si tratta cioè di comprendere se il paragone con il celebre lungometraggio di Curtis Hanson - "L.A. Confidential" riesce a reggere il confronto con il poliziesco messo in piedi da Peter Berg e Mark Wahlberg, considerato che in entrambi siamo di fronte alla trasposizione di due romanzi: dell’omonimo noir di James Elroy quella di Hanson, della serie dedicata da Robert B. Parker al detective privato Spencer quella di Berg. Alla pari delle loro fonti letterarie i film in questione si misurano con le investigazioni poco ortodosse dei protagonisti e con una giungla metropolitana in cui violenza e corruzione sono il frutto del sodalizio criminale stipulato tra mafia politica e tutori dell’ordine.
E qui sta il punto, perché nella messa in scena operata da Berg il concetto che sta alla base del film non è quello di guardare il male da un punto di vista morale - sulla scorta della lezione di Chandler e dello stesso Elroy - ne di farne il pretesto per un divertissement cinefilo sul tipo di "La Gomera - L’isola dei fischi" di Corneliu Porumboiu. Sulla scia di altri colleghi passati dalla distribuzione sul grande schermo a quella sulla "grande piattaforma", (Netflix, ndr), Berg adeguandosi al suo sponsor opera in regime di autocensura. Caratterizzato da uno stile di regia vicino a quello di Michael Mann (non a caso produttore di "The Kingdom", il film svolta di Berg), e dunque capace di fornire spettacolo con un dispositivo - soprattutto visuale - modellato su espedienti formali utilizzati nei reportage e nei documentari, con tanto di immagini sgranate e punti di vista sfalsati presenti anche quando si tratta di tradurre l’universo fantastico dei super eroi americani ("Hancock"), il cinema di Berg si allinea alla necessità della casa madre di abbassare il livello di complessità del prodotto al fine di renderlo esportabile in ogni dove. La qualcosa non riguarda solo la linearità di un intreccio nel quale la scientificità dell’investigazione lascia il tempo che trova e dove la struttura labirintica tipica del romanzo noir si riduce a un unico ed esile filo conduttore, - rappresentato per l'appunto dalla volontà del protagonista di vendicare le vittime del torto subito -, ma soprattutto la valenza dei personaggi, frutto di una stratificazione sociale e psicologica quasi del tutto assente e perciò in antitesi con il melting pot culturale, religioso e sessuale presente nei romanzi di Robert B. Parker.
Ma non è tutto perché se in "L.A. Confidential" la città losangelina riusciva a interagire con i protagonisti, diventando anch’essa personaggio, nel film di Berg la stessa Boston di "Mystic River" (Brian Helgeland figura tra gli sceneggiatori arruolati da Berg) è ridotta all’anonimato da panoramiche notturne e skyline appena utili a riprendere fiato dalla visione dei vari corpo a corpo in cui si cimenta il baldo Wahlberg. Il quale, dimagrito e tirato a lucido per l’occasione, ha la fotogenia da ragazzo della porta accanto (nonostante non gli manchino le scaltrezze per essere all’altezza dei suoi spietati rivali) che sembra fatto apposta per catalizzare l’interesse della mdp. Con questa scusa il film si dimentica della sua natura spettacolare e per esempio delle coreografie e delle riprese impossibili di cui sono pieni i normali blockbuster, soddisfacendo in questo uno dei principi base della piattaforma americana, ovvero quello di sfornare mainstream televisivi a basso costo e ad alta visualizzazione, qui garantiti dalla presenza in cartellone della star di turno. Certo è che nonostante la simpatia del solito Wahlberg (attore più bravo e versatile di quello che si è portati a pensare) e il mestiere di un regista ordinato e pragmatico come Berg, "Spenser Confidential" rimane un’operazione previbile e routinaria.
Carlo Cerofolini
(ondacinema.it)
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