Regia di Kim Yong-Hoon vedi scheda film
Chiarissimo apologo sull’avidità e l’ingordigia, il film – pur tra tutti i limiti del caso – s’afferma senz’altro come un buonissimo esordio. Nulla di particolarmente sensazionale o scompaginante, per così dire, tuttavia un thriller abilmente congegnato e messo in scena, capace di tenere ancorati sino agli ultimissimi istanti ad una narrazione pur non originalissima e in buona misura piuttosto lineare (e forse anche prevedibile).
La fotografia notturna e il costante rivolgimento di situazioni e personaggi affascinano e intrattengono lo spettatore sino ad un finale beffardo che lascia con un sorrisetto malizioso (malefico?) il dubbio che la vicenda non sia affatto bell'e conclusa. D’altronde, il motivo dominante dell’intero film è proprio la descrizione impietosa e sogghignante di quanto si sia disposti ad andare oltre per bisogno o amore del denaro, e quanto quest’ultimo possa rivelarsi disgregante di relazioni apparentemente felici e consolidate. In aggiunta, è il caso di dirlo, la linea di dialogo riguardante il particolarissimo metodo di riproduzione degli squali toro lascia ben poco spazio a dubbi di carattere interpretativo.
E sullo sfondo emerge, come risulterà ormai evidente, una sottile satira della società coreana odierna, alienante ed opprimente, all’interno della quale sempre più aumentato le ragioni di malessere a causa d’un idea di progresso che presuppone spesso e volentieri una totale “immolazione” dell’individuo in favore dell’“obiettivo”, consistente in una promessa di benessere industriale che (quando e se viene raggiunto, dopo molti sacrifici e moltissime prevaricazioni) rischia di rivelarsi solamente materiale.
Chi viene posto ai margini da un tal sistema irregimentatissimo e iper-competitivo (sin dai tempi delle scuole), frenetico e imbruttente, spossante e intransigente, in seguito ha ben poche possibilità di risollevarsi e magari finisce per scannarsi per qualche “tozzo di pane”, per effetto della paura perenne (nonché della minaccia incombente) di scivolare nella miseria più nera e assoluta.
Probabile comunque quanto detto sia uno stiracchiare eccessivamente il significato (ma per la verità neanche troppo) d’un opera che rimane prima di tutto un ottimo prodotto di genere, apprezzabile quindi anche solo come tale. Difatti, questo Beasts Clawing at Straws, come accennato, è un solido thriller carico d’attesa e suspense, sceneggiato con acume e recitato benissimo (una menzione speciale [quasi d’obbligo] va’ a Jeon Do-yeon: nel momento in cui compare, ruba subito la scena). In definitiva, Kim si dimostra un regista-sceneggiatore da tenere d’occhio: a questo punto, aspettiamo con curiosità e interesse l’opera seconda.
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