Regia di Gavin Rothery vedi scheda film
Dopo G(avin)1 e G(avin)2 si rimane in attesa di G(avin)3.
L’elemento di maggior pregio di “Archive”, ovvero “la Mia Ex (Machina)”, l’opera prima (dopo il corto/medio “the Last Man”) nel lungometraggio - che in fondo si potrebbe anche definire, financo principalmente, un film sull’adolescere - scritta e diretta da Gavin Rothery, già progettista capo del design concettuale del “Moon” di Duncan Jones (per la serie “Ecco dove lo avevo già visto questo stile!”), è la caratterizzazione (artwork - dal Chris Cunningham per Bjork in “All Is Full Of Love” al “WestWorld” di Nolan/Joy - dello stesso regista, ovviamente, in collaborazione con altri, ma un pensiero corre anche a “EveryThing Beautiful Is Far Away” e “Tales from the Loop”) dei due prototipi, J1 (muto, in zona R2-D2) e J2 (pseudo-umanoide, un passo indietro rispetto a C-3PO, cui presta la voce elettronicizzata Stacy Martin), costruiti per giungere alla perfezione “contenitiva” (nel senso di contenitore antropomorfo, in vece di quello “frigoriferico” nel quale era stipata/stoccata fisicamente la semi-cosciente salma trascritta criogenicamente), più che contenutistica, di J3 (un passo in avanti rispetto a C-3PO), cui Stacy Martin [brava, senza guizzi sublimi, come suo solito, nel pieno di una carriera in affanno; “Nymph(')Maniac”, “lo Cunto de li Cunti”, “the ChildHood of a Leader”, “High-Rise”, “Vox Lux”] oltre alla voce presta anche il corpo.
Completano il cast il non solo sopportabile ma incredibilmente per molti tratti e in altri meno convincente protagonista Theo James (“the Time Traveler's Wife”), in un ruolo minore, ma ovviamente incisivo, Toby Jones (“NightWatching”, “the Mist”, “W.”, “Your HighNess”, “Berberian Sound Studio”, “Detectorists”, “lo Cunto de li Cunti”, “Happy End”, “First Cow”) e in quello che non è più che un cameo Rhona Mitra (“DoomsDay”).
Fotografia di Laurie Rose, montaggio di Adam Biskupski e musiche originali (non così eccelse - e pure se fosse… - da essere spalmate in ogni dove: ed è il limite maggiore del film, che di cose interessanti - nel contesto cinematografico del già esplorato - ne esprime, ad eccezione del superfluo - più per com’è girato che per l’in cosa consiste -, ma già titolante, twist finale) di Steven Price, mentre un migliore utilizzo lo ricevono Cab Calloway (e Irving Mills, da uno standard popolare) con “St. James Infirmary Blues” (presente, rotoscopizzato su Koko the Clown, nel cartoon delle Fleischer Factory con Betty Boop: “Snow-White” (1933), per l’appunto, e - il più coerente dal PdV delle tematiche affrontate - “All's Fair at the Fair” (1938) di Max e Dave Fleischer sono proiettati per intrattenere l’adolescente J2 e soprattutto la bambina J1), Willie Nelson con la (sempre, ma) particolarmente appropriata in questo caso “Funny How Time Slips Away”, la Femme e the Vogues.
Distribuzione limitata (causa pandemia influenzale) nei cinema da parte di Vertical Entertainment, poi in streaming a ventaglio (Amazon & Co.). L’inverno ungherese interpreta quello giapponese. Riuscitissimo (proprio perché “pre-annunciato”) jump-scare autostradale a metà film. A questo punto non penso che in Gavin Rothery sia ravvisabile la stoffa di Alex Garland, ma il film s’è l’è scritto e stilizzato da sé (poteva essere un lavoro migliore, ma i pregi gli vanno riconosciuti), e l’eventuale opera seconda sarebbe la benvenuta.
* * * ¼/½ - 6.75
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