I personaggi messi in scena da Apatow sono imperfetti, sgradevoli, irrisolti ma talmente umani che ti costringono a parteggiare per ognuno di loro, a sperare che tutto finisca bene, che, in un modo o nell’altro, ognuno di loro possa essere felice.
Con Il re di Staten Island Apatow si inventa un’operazione geniale: traslare la sceneggiatura di una sua tipica commedia nel contesto di un film drammatico.
Situazioni, personaggi e dialoghi sono quelli tipici delle commedie di Apatow solo che qui, il regista, ha eliminato totalmente il registro comico e ha utilizzato tutto il suo campionario classico al servizio di una storia di disagio e di malessere.
L’operazione che fa Apatow è geniale. Chi conosce bene i suoi film riconoscerà situazioni e personaggi ma non ne riderà, anzi, sarà portato a riflettere, a realizzare il vissuto doloroso che questi personaggi portano con sé.
Questo ribaltamento è spiazzante e Apatow ne è totalmente consapevole.
Apatow dirige con maestria i suoi attori, coinvolge lo spettatore facendolo parteggiare per personaggi effettivamente sgradevoli e irrisolti ma che portano con sé un carico di umanità che è raro vedere così ben rappresentato in un film.
I personaggi messi in scena da Apatow sono imperfetti, sgradevoli, irrisolti ma talmente umani che ti costringono a parteggiare per ognuno di loro, a sperare che tutto finisca bene, che, in un modo o nell’altro, ognuno di loro possa essere felice.
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