Regia di Quentin Dupieux vedi scheda film
Una mosca sta bene ovunque.
Riflessione tanto semplice quanto inappuntabile.
Il genuinamente, stronzamente folle Quentin Dupieux se l’è evidentemente trovata nel film e ha deciso di lasciarla lì.
Ci stava bene, dopotutto. Pure se le dimensioni sono un pochino eccessive e il contesto di risulta: davvero vi stupi(res)te?
Nutrimento, riposo, attenzione, cura, un addestramento base per un piano idiota e il gioco in mano a Manu e Jean-Gab è fatto.
Fatti, di scemenza e rudi affinità erettive, i due. Il loro rituale con le mani con le corna che si scornano esclamando di giubilo «toro toro!» a qualsiasi emozione condivisa – meglio se di basica cretineria – è tipo un richiamo ferino a cui scimunite scimmie danzanti non possono resistere.
Soprattutto, è una figata.
Figata è l’assunto [che pot(r)ete leggere in un battito di google]: no, non il “curioso” ritrovamento bensì la (non) reazione e la catena di azioni susseguenti. Che fai, scopri per caso la “cosa” e non ti chiedi subito come profittarne cercando una via uscita da una vita demmerda?
Con gli stessi istipuditi ma anche educati occhi va visto, letto, vissuto Mandibules.
Gli spostamenti progressivi della surrealtà eccitano una sarabanda di situazioni grottesche che il simpatico duo abita con commovente balordaggine e invidiabilissima adesione/accettazione; anche a dispetto degli incontri con della bella gente ricca che non può che rivelarsi stronza.
Meglio allora la bestia, la mosca grande e pesante quanto, boh, un bimbo di sei anni; e chissà che fetide emissioni dallo schifoso corpo di peli ispidi appiccicosi e struttura mandibolare succhiante che chissà cosa ha succhiato.
Dupieux, bontà sua, non disneyizza l’essere né ne fa carne da macello orrorifico o banale metaforone: semplicemente, sta lì.
Lì dove stanno i delinquentelli Manu e Jean-Gab – corpi sgraziati, facce stranite, animi improntati a una essenzialità disarmante – mentre percorrono impassibili le vie di un assurdo reale: la singolare bestia filmica animata dall’autore di Rubber e Wrong – nuance seppiata, odori sgradevoli, fauna umana anomala, passo tra l’indolente e l’instabile, suggestioni d’amorosi sensi fuoricampo tra l’abile addestratore Jean-Gab e la cosa – vive di intuizioni geniali e passaggi a vuoto (forse troppi, considerando il minutaggio esiguo), vibrazioni illuminanti e contrazioni ruminanti, gag esilaranti e scarti nonsense.
Un microcosmo, insomma, beato a mollo nella sua placidità e noncuranza nei confronti di chicchessia – foss’anche un personaggio affetto da un handicap, ovvero la strepitosa Adèle Exarchopoulos che il buon Quentin desensualizza con consapevole arguzia –, che si permette nel finale (annunciato) una morale esplicata a gran voce (l’amicizia, la condivisione, la lealtà ecc.) con successivo ribaltamento/twist ancor più sottile.
E così la (sur)realtà ripiomba spiegando le sue grandi ali su questa fiaba assurda che è la vita.
[p.s.: beh, dai, tutto sommato le mosche non fanno così schifo. No, non è vero: continuano a fare schifo. Come i titoli italiani]
[la cosa]
[la sballata urlatrice fastidiosa più d'una fastidiosa mosca]
[scemo e più scemo]
[in fondo, Mandibules è il lato terragno e bislacco de La mosca cronenberghiana]
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