Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Chissà se tale recensione convincerà gli scettici a visionare tale film; certo, i pregiudizi sono duri a morire e le recensioni dell'epoca non lasciano molto spazio a rivalutazioni odierne su Coraggio... fatti ammazzare di Clint Eastwood (1983), quarto capitolo della saga dell'ispettore Harry Callaghan (Clint Eastwood), però liquidarlo come cagata fascistoide come fecero Canby e Grazzini, denota una certa superficialità intrisa di una miopia ideologica contro il cineasta, nonchè contro il genere poliziesco in generale, che hanno portato a liquidare velocemente un quarto capitolo invece interessante, nonchè pregno di elementi di interesse e forti ambiguità, come lo è sempre stata l'intera serie oltre al cinema di Eastwood in sè.
Il regista ritorna al suo personaggio più famoso dopo il fallimento di Honkytonk Man (1983), il deludente Firefox - Volpe di Fuoco (1982) ed il mezzo flop ai botteghini di Bronco Billy (1980), quindi per guadagnare nuovamente credito Eastwood ritorna sull'usato sicuro ed invece di fare disastri come altri suoi colleghi nei momenti di difficoltà (vedasi Stallone con Rocky V), incredibilmente rivitalizza una saga che dopo i primi due capitoli sembrava aver detto tutto ciò che aveva da dire, andando si incontro al massacro della critica da sempre avversa al regista, ma trovando fortunatamente il favore del pubblico che nonostante il Rated-R (è il capitolo più cupo e violento della serie), consentirà al film di guadagnare 160 milioni di dollari nel mondo, il risultato più alto della saga e di Eastwood sino ad allora.
Callaghan è sempre stato l'alter-ego di Eastwood, il suo personaggio più famoso negli USA, il suo lato più oscuro e quello pù Eastwood prima maniera, violento e spietato contro tutto e tutti, senza distinzione tra bianchi, borghesi, uomini di potere e minoranze; tutto il necessario per eliminare la spazzatura per il rispetto della legge, anche se perfettamente conscio di come il sistema per cui lavori lo detesti, perchè lo considera un uomo violento dai modi poco ortodossi, nonostante gli chieda di eliminare la criminalità per poi rinnegarne i metodi brutali adoperati, volendosene ipocritamente dissociarsi.
Da sempre giocato su tale equilibrio, anche il quarto capitolo torna su tale ambiguità scavando però più a fondo tramite una storia "rape e revenge" in tutti i sensi, con l'artista Jennifer (Sondra Locke), atta ad eliminare ad uno ad uno i sei stupratori, che anni prima l'avevano brutalmente violentata in un luna park, senza mai aver ottenuto una benchè minima giustizia (neanche andati a processo), quindi la donna decide di fare da sè tramite l'antica legge del taglione, in modo da dare la giusta punizione ai colpevoli impuniti per il gesto nei suoi confronti e della sorella, quest'ultima in uno stato catatonico da quel momento in poi.
Lo spettatore è portato a simpatizzare immediatamente per Jennifer visto il suo trauma, questo fa si che al film vengano rivolte accuse troppo facili di giustizialismo o fascismo come nel caso di Grazzini, che tra l'altro si lamenta dell'imbarbarimento del pubblico per il successo ai botteghini dell'opera, salvo poi dimostrare una vergognosa insensibilità nel definire dei meri "teppisti" quelli che a tutti gli effetti sono degli sporchi stupratori.
Grazzini usando infelicemente tale termine, non risulta in alcun modo diverso dal piccolo borghese Tyron, proprietario di un negozio, che vistasi puntata contro la pistola di Jennifer, chiede meschinamente di avere salva la vita in cambio di denaro, giustificando il suo gesto di anni prima come una mera "bravata"; ad Eastwood tutto si può dire sulle sue idee politiche se non il fatto di essere sin dagli esordi contro tutto e tutti, specie contro i benpensanti, la categoria che al cineasta (ed al sottoscritto) fa più schifo di tutti, come Tyron, che del gruppo dei sei stupratori, è colui che ne esce ritratto peggio, perchè almeno gli altri sono coerentemente consapevoli del male che hanno fatto senza voler cercare giustificazioni, mentre lui ritiene di non dover pagare per una cosa da "ragazzi" (a suo dire).
La violenza sessuale però è il peggior crimine che può subire una donna, Jennifer dal momento dell'accaduto è rimasta segnata da ciò, i suoi dipinti dilaniati, riflettono un grido d'angoscia interiore senza pace, perchè la donna nonostante il trascorrere degli anni vive in una prigione mentale, dove i neri profondi della fotografia di Bruce Surtees, l'avvolgono inesorabilmente come se fossero le sbarre di una prigione dalla quale è impossibilitata ad uscire, poichè il corpo può anche guarire, ma la mente resta alterata quanto tenacemente ancorata a quel violenti episodio. L'aspetto fragile e delicato di Sondra Locke, qui alla sua migliore interpretazione, nasconde una rabbia vendicativa per la denegata giustizia, che la trasforma, complice anche il trattamento fotografico, da apparente donna indifesa di bell'aspetto a dark lady uscita fuori da un noir anni 40', diventando così l'incarnazione del lato oscuro di un Callaghan, che comunque afferma di muoversi nei confini del rispetto della legge.
Il quarto capitolo di Callaghan, mostra per assurdo dei logorii in molte sequenze della prima metà di film riguardanti l'ispettore, in formule già viste con ripetizioni reiterate (tre volte tre individui cercano di ammazzarlo, si lo so sembra uno scioglilingua), gag di dubbio gusto (il cane Polpetta), riproposizioni solite (la 44 Magnum in primo piano, Pezzotta rivela che al cinema in molti applaudirono), criminali cattivissimi e la battuta cult "Coraggio... fatti ammazzare" (grossolana traduzione da parte di Kalamera di "Go Ahead, make my day", frase poi ripresa da Reagan fan del film, che la utilizzò in campagna elettorale nel 1984 stravincendo le elezioni). Indubbiamente tutti questi elementi sono triti e ritriti, ma sono sfruttati dalla mano sicura di chi sa come vincere e convincere il pubblico, però artisticamente la pellicola è al suo meglio, quando Callaghan interagisce con Jennifer, così come Eastwood con Locke (sua ex compagna di vita), brillando di un'oscurità profonda nei momenti in cui entrambi condividono lo schermo, perchè i due personaggi sono complementari nel loro lato nero, trovando l'apice artistico nella sparatoria finale nel luna park con tanto di inquadratura in controluce uscita da Sentieri Selvaggi di John Ford (1956), che trasfigura la figura dell'ispettore Callaghan in un sinistro demone pronto a trascinare tutti all'inferno, per poi prendere una decisione ambigua, dove mai la saga aveva osato prima, scatenando in ciò dei notevoli dibattiti sul concetto di giustizia nello spettatore, che a seconda della sua coscienza prima ancora della sua ideologia, sarà d'accordo o meno sul finale.
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