Regia di Tim Roth vedi scheda film
L'esordio di Tim Roth è un dramma familiare a tinte fosche nel contesto di una primordiale insularità scenografica che sembra confermare (ma non giustificare) i presupposti di come avverse condizioni ambientali possano influenzare negativamente quelle tendenze primigenie cui l'ordine etico delle convenzioni sociali ha lo scopo di mettere un freno.
Contrariato per il trasferimento da Londra in un isolato cottage nel Devon ed alle prese con i primi turbamenti adolescenziali, Tom vive con difficoltà la terza gravidanza della madre che dà alla luce una bella bambina. Il suo disagio emotivo si acuisce quando si accorge delle morbose attenzioni del padre nei confronti della sorella più grande, appena maggiorenne. La tragedia è dietro l'angolo.
Basato sull'omonimo romanzo di Alexander Stuart e sceneggiato dallo stesso autore, questo dramma familiare a tinte fosche è l'esordio dietro la macchina da presa di un Tim Roth alle prese con le ossessioni ed i traumi di un'infanzia di abusi domestici che ne hanno segnato profondamente il carattere e la visione complessiva sulla natura controversa persino dei più intimi rapporti personali. Costruito come un racconto di formazione che utilizza le selvagge e solitarie locations di un eremo costiero particolarmente adatto alle ambigue suggestioni di un ambiente familiare isolato e sotto la cui apparente normalità covano le inespresse tensioni sessuali dell'adolescenza, si sviluppa secondo un registro drammatico di ordinario disagio domestico per confermare solo nello scabroso colpo di scena finale la sconcertante fondatezza dei sospetti di un protagonista cui la fragilità dell'età di passaggio contribuisce ad attribuire il verosimile ruolo di testimone inattendibile. Se questo espediente narrativo finisce per togliere forza ad una vicenda che procede abbastanza stancamente, alternado i disagi della vita rurale con i contrappunti lirici di un idillio familiare cullato dalle onde dell'oceano che si infrangono sulle alte falesie del Devonshire, a qualificare meglio il film di Roth provvede piuttosto l'idea di una cattività domestica che alimenta morbose quanto naturali attenzioni incestuose della sorella per il fratello più piccolo, acuite dalla promiscuità abitativa e dal forzato isolamento cui gli stessi sono obbligati da contingenti esigenze economiche. Un contesto cioè, di primordiale insularità scenografica che sembra confermare (ma non giustificare) i presupposti di come avverse condizioni ambientali possano influenzare negativamente quelle tendenze primigenie cui l'ordine etico delle convenzioni sociali ha lo scopo di mettere un freno. Certo non siamo dalle parti dello scabroso naturalismo de Il Giardino di cemento di Andrew Birkin (anche questo da un soggetto letterario, di Ian McEwan) ed il film risente di una matrice melodrammatica che riesce a depotenziare nel finale perfino una cruenta scena di violenza sessuale che sconvolse uno spettatore alla proiezione pubblica del film al Toronto International Film Festival cui partecipò lo stesso regista, ma la bella ambientazione, la compattezza del montaggio e la buona direzione degli attori conferiscono credibilità ad un film capace di scuotere gli animi più insensibili ed a restituire una testimonianza cinematografica sentita e dolente. Resta sospeso invece il giudizio sulle pretenziose suggestioni del pianosequenza aereo della scena finale , in cui due poveri cuori assediati, rimangono asserragliati nella fortezza solitaria di una casamatta abbandonata: una disperata e simbolica resistenza all'interno di una familiare e domestica zona di guerra. Presentato nella Quinzaine des Réalisateurs al 52º Festival di Cannes, ha avuto distribuzione ed incassi limitati ma un ottimo riscontro di critica e numerosi premi tra cui quello al regista nella sezione Panorama alla Berlinale 1999.
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