L'apocalisse ha già decimato la popolazione, ed in quel che resta di un Nord Est italiano grigio e regredito ad epoche medioevali che paiono una versione nostrana delle desolazioni australiane tipiche della
saga dedicata a Mad Max, un padre ed un figlio cercano di sopravvivere col cibo pescato nella laguna che li circonda, vestiti di stracci ed esposti ad intemperie che ne rendono difficile la sopravvivenza.
La specie femminile si è praticamente estinta, e dunque anche il destino dei pochi sopravvissuti è segnato.
Il figlio, nato subito dopo la catastrofe, è stato abituato alla pura sopravvivenza e non è stato necessario che apprendesse a leggere o scrivere. Pertanto, quando il padre improvvisamente muore, il ragazzo si ritrova in mano un quaderno ove il genitore annotava quotidianamente i suoi pensieri.
Tenuto conto del carattere duro e riservato dell'anziano, il figlio intende riuscire a venire a conoscenza di ciò che il padre scriveva e pensava, soprattutto nei suoi riguardi. Per questo intraprende un viaggio lungo e pieno di pericoli, volto alla ricerca di un generoso lettore che possa renderlo edotto dei pensieri segreti del genitore.
Ma il viaggio sarà l'occasione per scoprire, ancora più nei tragici dettagli, l'imbarbarimento a cui il cataclisma ha gettato quel residuo di umanità ormai molto simile, nel comportarsi e nell'interagire, a belve costrette a sopravvivere in ogni momento a minacce incombenti ed inevitabili.
Tratto da una graphic novel piuttosto nota ad opera di Gipi, La terra dei figli è una drammatica e tesa storia di formazione con molte ambizioni, che soffre tuttavia a causa di una serie di personaggi sin troppo stereotipati e già visti ovunque, tenuto anche conto dell'importanza che film come The road (tratto con criterio dal capolavoro letterario crudo ed agghiacciante di Corman McCarthy), hanno già segnato nell'immaginario collettivo.
Troppo cinema ha attraversato, a volte con risultati di tutto rispetto, sentieri che il film del pur valido Cupellini intende ripercorrere, calpestando terreni già troppo frequentati da certe tematiche a sfondo socio-ambientalista.
Finisce quindi che personaggi da guest star affidati ad attori noti come Valeria Golino e Valerio Mastandrea, risultino un po' goffi e fiabeschi, affievolendo notevolmente una atmosfera che si sarebbe preteso essere da incubo, ed invece assume le caratteristiche scenografiche di un prodotto televisivo senza troppo appeal, o dall'inevitabile dettaglio casereccio.
Nel ruolo del protagonista adolescente, il romano dal nome assai poco romano Leon de la Vallée, si fa notare per quel suo sguardo severo tutto occhioni sgranati: la sua interpretazione, pur ancora un po' acerba e mono-espressiva, rimane tra le caratteristiche che più restano in mente di una produzione di tutto rispetto, ma un po' ingolfata da uno script poco brillante e non così teso come le circostanze avrebbero suggerito.
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