Regia di Claudio Cupellini vedi scheda film
In un futuro prossimo nel quale la Terra, dopo un'ecatombe nucleare, sarà abitata da pochi disperati umani, un ragazzino perde il padre e scopre che l'uomo teneva un diario da lungo tempo. Il ragazzino non sa leggere, però, e così parte alla ricerca di qualcuno che possa aiutarlo.
Quasi non sembra un film italiano, La terra dei figli: un fantasy postapocalittico dall'immaginario vivido e intenso, con un cast peraltro assortito in maniera chirurgica ed estremamente solido. La regia e la sceneggiatura (quest'ultima firmata insieme a Filippo Gravino e Guido Iuculano) sono d'altronde di Claudio Cupellini, cineasta che ha già dimostrato di saper fare molto bene; a sei anni di distanza dall'ottimo Alaska (2015) il Nostro ritorna sul grande schermo – nel frattempo c'era stata la parentesi televisiva della sere Gomorra – e lo fa adattando un graphic novel di uno degli autori più fantasiosi e sottili del panorama italiano: Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi. Non si tratta di un adattamento fedele e la didascalia nel finale (“liberamente tratto da”) lo puntualizza doverosamente, eppure questo film lascia comunque un segno nello spettatore, come una fiaba postmoderna che trae linfa dalla disperazione, dall'abbandono e dalla sfiducia nei confronti del genere umano. Molto valido il protagonista, l'esordiente Leon de la Vallée (che poi è il rapper Leon Faun) e meritevoli di menzione anche i vari Paolo Pierobon, Valeria Golino, Fabrizio Ferracane, Pippo Delbono, Maria Roveran, Valerio Mastandrea e Maurizio Donadoni. A voler cercare dei difetti all'opera si può rilevare la scarsa 'coerenza linguistica' del cast, tra smaccati accenti romaneschi e veneti (e passi), ma soprattutto il ritmo che talvolta si impantana tra le pur suggestive paludi che fanno da principale scenografia del lavoro. Intelligente, nota a margine, l'idea di girare un film con pochi personaggi e ben distanziati in un'epoca di pandemia. 6,5/10.
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