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Adele H., una storia d'amore

Regia di François Truffaut vedi scheda film

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La recensione su Adele H., una storia d'amore

di LorCio
10 stelle

Si dice che Adele sia stata la figlia meno amata di Victor Hugo. Una vita molto turbolenta, segnata da un amore impossibile e dall’incombente presenza del padre. E ti pareva che quell’animo sentimentale di François Truffaut non si faceva travolgere da cotanto personaggio? Prima di essere una delle storie d’amore (o di ossessione?) più violente mai comparse sullo schermo, il film è un indimenticabile ritratto di donna.

 

 

Schierato spudoratamente dalla parte di lei, François dipinge un infiammato melodramma che solo in superficie può apparire freddo ed asettico. Tutt’altro. L’opera è un concentrato turbinoso di passioni e colori spietati. La spietatezza è data dai sentimenti, sempre loro, che generano nei personaggi truffautiani sensazioni inquiete, al punto di giungere a punti di non ritorno. Stavolta è il turno di Adele, innamorata persa dell’ufficiale Pitons, rifiutata da questi, decisa a vendicarsi, sconfitta, sprofondata nella depressione fino alla fine dei giorni. Un’eroina dal temperamento a dir poco forte, smarrita in se stessa ed afflitta da incubi ricorrenti. Gli incubi quali sono? Sono svariati, ma tutti si riconducono ad un elemento: il padre.

 

 

Quella di Victor Hugo è una presenza che incalza costantemente la povera Adele, la quale dipende economicamente dal padre e vive con lui un rapporto costruito su sterili corrispondenze. Nella sua vita americana, Adele solo tre volte si presenta come Adele Hugo, e solo quando ritiene che quel cognome le offrirà le dovute possibilità di realizzare ciò che vuole (si veda la richiesta al mago e il tentativo di screditare Pinson). Una sterilità dovuta forse ad un’incomprensione di fondo tra i due personaggi, e gravata ulteriormente dalla morte tragica di Leopoldine, la sorella, storicamente la prediletta di papà Victor.

 

 

Torna sempre Leopoldine, quasi come fosse un fantasma di un passato incancellabile, e torna il suo omicida, l’acqua. L’acqua è la protagonista degli incubi notturni di Adele, acqua entro la quale l’eroina immagina di affogare. L’acqua dell’oceano è ciò che divide l’America dall’Europa, l’oggi e il ieri (e successivamente, al ritorno in patria, il ieri e l’oggi). L’acqua è il mezzo con il quale Adele arriva prima nella nuova dimora americana e poi nelle Barbados, per seguire Pitons. Victor Hugo resterà l’uomo più importante della vita di Adele, secondo Truffaut.

 

 

E allora Pitons? Mentre il padre è la paura, egli è la passione. Lei ha deciso di vivere per lui. Non si riesce a vedere accanto a qualunq’altro uomo. Simbolica che Truffaut si sia ritagliato l’apparizione nei panni di un ufficiale che Adele scambia per Pitons. Vuole dire: guarda, sei ancora in tempo, solo io posso salvarti dal naufragio. Ma Adele tira avanti per la sua tormentata strada. Se fosse stata più ragionevole, si sarebbe resa ben presto conto che Pitons era un uomo abbastanza meschino, pronto a qualunque avventura e restio a trattare ancora con Adele. Eppure la nostra si fa letteralmente trascinare da questo sentimento malato, e le conseguenze si rivelano tremende. Per un semplice motivo.

 

 

Ciò che affiora prepotentemente nella parte finale della storia è ciò che sembrava quasi impensabile nel capitolo precedente: Adele è folle. Di una follia disperata, sconvolta, sofferente. Folle la sua testardaggine nel perseguitare Pitons. Folle il suo comportamento nel dichiararne le nozze fatte. Folle il suo tentativo di farsi credere incinta. Folle la sua scelta di seguirlo fino alle Barbados. Folle, alla fine (quando gli eleganti abiti borghesi si sono oramai trasformati in luridi e lerci stracci), incontrarlo ed ignorarlo.

 

 

A dare vita alle febbrili ed inquiete espressioni di questo personaggio larger than life, c’è una Isabelle Adjani indimenticabile, scoperta in tv da Truffaut e completamente immersa in questo ruolo che vale una carriera. E a puntellare le scene falsamente algide (perché terribilmente calorose, dal momento che è un film profondamente claustrofobico), la fotografia raffinata e pittorica di Nestor Almendros e le recuperate, tristi musiche di Maurice Jaubert. Chi ha detto che è un film gelido non ha capito niente. Adele H. brucia di passione ardente e silenziosa.

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