Regia di Robert Lorenz vedi scheda film
Viviamo in un mondo crudele, in cui i deboli sono sistematicamente schiacciati, condannati a soccombere, mentre chi potrebbe intraprendere iniziative concrete per venire in loro soccorso, nasconde la testa sotto la sabbia, fa finta di ignorare quanto succede o, addirittura, agevola chi fa la voce grossa sentendosi inviolabile.
Se questa è la regola generale, è pur sempre vero che esistono ancora delle – rare, rincuoranti e salvifiche - eccezioni, uomini/donne che compiono la scelta giusta, sotto l’egida di vincoli morali che anticipano qualsiasi altra prerogativa, sebbene le controindicazioni siano inequivocabili.
In The marksman, un personaggio di questa nervatura, per il quale il tifo dello spettatore è assoluto, assume il controllo pressoché totale del contesto, impreziosito da un Liam Neeson profondamente coinvolto (vedi Schindler’s list per come è orientato al conseguimento della salvezza altrui) e da echi arpionati direttamente dalla poetica di Clint Eastwood.
In quel di Naco, una piccola cittadina dell’Arizona adiacente al confine con il Messico, Jim Hanson (Liam Neeson) cerca di tirare avanti tra le mille difficoltà derivanti dalla recente perdita della moglie e da un debito con la banca che grava sulla sua proprietà, sostenuto dalla figlia Sarah (Katheryn Winnick).
Le sue prospettive cambiano radicalmente dopo aver incontrato il piccolo Miguel (Jacob Perez) e sua madre Rosa (Teresa Ruiz), due messicani in fuga verso una vita migliore, tallonati dagli uomini al soldo di uno spietato cartello della droga.
Infatti, invece di voltare loro le spalle, decide di soccorrerli, tanto da accantonare tutti i suoi problemi personali quando Miguel vede morire la madre e lui rimane la sua unica speranza per dribblare un destino altrimenti segnato.
Con The marksman, il regista e cosceneggiatore Robert Lorenz (Di nuovo in gioco) attinge a piene mani dalla sua lunga esperienza maturata a fianco di Clint Eastwood, partorendo un dramma umano crepuscolare e altruista, con implicazioni etiche e convinzioni trasmesse a spada tratta.
Fondamentalmente, è classificabile come un road movie contaminato da filamenti western, che si snoda tra disillusione e solidarietà, rassegnazione e forza di volontà, con svariate argomentazioni d’estrazione eastwoodiana, come un orizzonte avverso per chi è considerato marginale (Gran Torino), le difficoltà che assediano chi meriterebbe di vivere senza scossoni la fase terminale della sua esistenza (Il corriere – The mule), la giustizia che non funziona graziando i colpevoli per poi accanirsi contro chi non ha macchie sulla coscienza (Richard Jewell, Sully) e, prima di ogni altra direttiva, il ruolo attivo dell’uomo comune che si trasforma in eroe accettando di mettere sul piatto tutto ciò che ha a disposizione per salvare il prossimo (Ore 15:17 – Attacco al treno).
Lo stesso Liam Neeson appare più invecchiato del solito, ferito nell’anima e propenso al sacrificio, ricordando direttamente l’autore californiano, semmai è la mano di Robert Lorenz ad abbassare il livello delle correlazioni, tra snodi risolti con soluzioni arrotondate, categorie contraddistinte con ampio margine e una sequela di semplificazioni/sottolineature/aggiustamenti che rendono il viatico largamente prevedibile.
Ciò detto, il primum movens conserva uno stato privilegiato nella policy dell’ordine del giorno, con il suo invito a spendersi per gli altri, ad aiutare chi ne ha un bisogno estremo, aggirandosi tra territori di confine che vanno oltre lo scheletro geografico, confronti impari e fardelli che fiaccano lo spirito. Tutto espresso attraverso un’esposizione frontale e smaccata, dalle coordinate nitide, ma anche un Liam Neeson dalla tempra dolente e resiliente, impegnato in un personaggio altamente gratificante.
Pratico e solidale, precario e onesto.
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