Regia di Pietro Germi vedi scheda film
* GIOVENTU' PERDUTA (1947)
https://www.youtube.com/watch?v=3EQkg80gewA
"C'è nei giovani d'oggi un misto di pessimismo e di cinismo che mi spaventa": così, sconsolato, il professor Pietro Manfredi (Leo Garavaglia) afferma di fronte al figlio Stefano (Jacques Sernas), del tutto indifferente ai suoi accorati consigli.
La sua è una tipica famiglia della media borghesia, classe sociale ora meno agiata che in passato perchè anch'essa toccata dai tempi duri (gli ultimi anni del fascismo e la guerra) ma, rispetto alla popolazione meno abbiente, maggiormente "impoverita" quanto ai valori morali che le erano tradizionalmente propri.
Quello della criminalità giovanile era davvero un preoccupante fenomeno reale nel dopoguerra (ed è in questo senso, principalmente, che i critici contemporanei considerarono il il film rientrante nella corrente del neorealismo).
Spiega, lo stesso professore in una lezione all'università, che, dal 1937 al 1947, il numero dei crimini in Italia è raddoppiato, ma...
il numero di quelli commessi dai giovani "borghesi" si è moltiplicato per sedici (!).
E conclude, in base alla statistica: "Due di voi, o almeno uno, tra i duecento studenti in quest'aula, è un delinquente". Non sbaglia: è suo figlio.
La scelta dell'interprete (la sua è la figura principale della storia) è azzeccatissima.
Il ventiduenne Jacques Sernas sembra fatto apposta per incarnare il personaggio del bel giovane biondo e ben educato, di buona famiglia, che, portato com'è al futile a abituato al successo con le donne, pensa che tutto sia consentito a lui, centro dell'universo, cui compete solo di "godersi la vita" soddisfacendo i propri piaceri; la violenza di quegli anni gli ha solo insegnato che si può fare di tutto, senza preoccuparsi di alcun altro al di fuori di sè: se si hanno debiti di gioco, basta qualche rapina per saldarli (e magari regalare un bracciale d'oro alla cantante di un night se la si vuole possedere); ha capito che è facile arricchirsi in fretta e anche spesso restare impuniti; e che la vita degli uomini (gli altri) non ha poi quel gran valore che gli hanno insegnato; anzi, più la pensi così più hai successo, fra gli amici, che sono come te (un tale ci ha visto durante una rapina? lo si uccide senza problemi); le donne che lo amano? è naturale, ma .... se diventano pericolose si eliminano. Quasi senza un sussulto, una emozione, sempre conservando quel bel visino inalterato, pressochè inanimato, inespressivo, anaffettivo.
Anzi, con un tantino di vittimismo (si festeggiano i suoi vent'anni: "Chi vi ha chiesto di farci nascere? ..... ma io non mi lamento"). Tutti quelli che lo amano non si accorgono di nulla, fino alla inevitabile evidenza dei fatti, l'ultimo dei quali sarà il farsi scudo con la sorella.
Non solo l'aspetto ma anche l'interpretazione di Sernas sono assolutamente adeguati al ruolo (ottenne infatti il Nastro d'argento nel 1948 come miglior attore straniero in un film italiano, che resterà il suo maggior riconoscimento).
Fa pensare non poco il conoscere qualcosa della sua vita, drammaticamente diversa.
Fu naturalizzato francese, ma era lituano, orfano di un membro della Resistenza firmatario nel 1918 dell'atto di indipendenza del suo paese, poi, con la madre in Francia, egli stesso lottò come partigiano quando vi fu l'invasione nazista; arrestato, finì nel campo di concentramento di Buchenwald da dove uscì solo con la liberazione ad opera degli alleati e riprese i suoi studi di medicina mantenendosi con vari lavori fra i quali quello di corrispondente per il giornale Combat durante il processo di Norimberga.
Ecco Stefano, vedi ..... questa, è la vita di un uomo.
Della trama ho già fornito anche troppi cenni e non mi sembra opportuno aggiungere altro, per quei pochi - se ci saranno - che non abbiano ancora veduto questo bel film, ora considerato dai più un "noir" che si rifà a quelli americani che noi cominciammo a conoscere in quegli anni; secondo me ricorda anche pellicole dei cugini d'oltr'alpe.
Il "lieto fine" c'è solo nei due "arrivederci" finali, a correggere due "addio".
Non mi dilungo a parlare degli altri artefici del film, limitandomi a ricordare che i due co-protagonisti sono i nostri Massimo Girotti e Carla Del Poggio e il regista è Pietro Germi (sua seconda opera e primo successo commerciale, Nastro d'argento per il miglior film a soggetto): per ciascuno dei tre, per motivi diversi, fu un film importante perchè rappresentò un "punto di svolta". E voglio ricordare anche, nella parte del commissario, il bravo Nando Bruno.
Capiterà di parlarne ancora, una prossima volta (*).
Voto nettamente positivo: quattro stelle.
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(*) Solo qualche facezia, tanto per alleggerire:
Massimo Girotti, tutti lo sanno, fu un "bellissimo" del cinema italiano, soprattutto negli anni '40 rivale di Amedeo Nazzari.
E Carla Del Poggio fu, dichiaratamente, la "passione" di Giulio Andreotti, che non ebbe incertezze a preferirla - come bellezza più "normale" - alle tante altre splendide attrici che ebbe a conoscere.
Ma ciò che ricorderò sempre è che, nel 1955, per me "prima ragioneria", c'era un compagno di classe - Gigi - veramente molto bello (si eleggeva non solo la Miss ma anche il Mister) e le ragazze venivano a scuola con le fotografie di Tony Curtis e di Jacques Sernas per fare i confronti, regolarmente preferendo Gigi.
Comunque, posso testimoniare che anche Sernas - almeno a metà degli anni '50 - era sicuramente considerato un "bellissimo"!
P.S. - Per completezza: "Mister" della classe non fu eletto Gigi, bensì Vittorio, considerato il più simpatico.
cherubino, 10 maggio 2015
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