Regia di Alberto Lattuada vedi scheda film
Notevole film di Lattuada, che trasporta il soggetto di un famoso racconto di Gogol nella Pavia fascista degli anni trenta. L'umore grottesco e surreale dello scrittore russo è ben ripreso dal regista milanese (oggi, 2004, novantenne), con parentesi comiche (eccellente la lettura del verbale da parte di Rascel) che non inficiano la drammaticità di fondo. Raramente è stata data una descrizione così abile e crudele, eppure veritiera, delle dinamiche che si creano negli uffici pubblici, al di là dei cambiamenti che riguardano soprattutto gli strumenti di lavoro (i computer al posto delle penne stilografiche). Il cappotto è qui l'oggetto bramato che può far fare all'umile e bistrattato impiegatuccio De Carmine il salto di qualità (a parte l'aver casualmente udito una conversazione compromettente per il borioso e disonesto segretario generale): con quello indosso riuscirà perfino a fare un ballo con l'amante del sindaco, mentre una volta derubato del suo bel cappotto nuovo sarà umiliato e morirà, più per il dispiacere che per il freddo. E solo dopo morto riuscirà, almeno in parte, a prendersi la rivincita su coloro che l'avevano umiliato da vivo: il suo funerale - cui prende parte solo il sarto che gli aveva confezionato il cappotto - intralcerà il discorso del sindaco, il quale non riuscirà nemmeno a consumare l'adulterio con la propria amante, fino ad uscire con capelli e barba bianchi da un incontro con il fantasma del povero De Carmine. "Il cappotto" è, con ogni probabilità, il capolavoro di Lattuada, che ottiene un risultato notevole anche grazie alla prova comico/drammatica di Rascel, bravo in ogni registro, e di uno stuolo di bravi attori, tra i quali segnalerei Giulio Calì (il sarto), che due anni dopo farà il babbo di Sordi in "Un americano a Roma".
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