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Ghostbusters: Legacy

Regia di Jason Reitman vedi scheda film

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La recensione su Ghostbusters: Legacy

di Barone Cefalu
5 stelle

Operazione nostalgica ad opera del figlio del regista del primo film, Ivan Reitman, che mise a segno alcune efficaci commedie degli anni '80, ma che pecca di una resa fin troppo costruita e pianificata, esteticamente tanto efficace quanto anacronistica.

 

Sicuramente un omaggio, di questo tratta Ghostbusters Afterlife, da noi cambiato in Legacy, da parte di Jason Reitman, regista assai capace che ci ha regalato dei film tanto semplici ma con storie originali e divertenti, per esempio i fortunati Juno ed Up in the air, ma che con quest'ultima opera fa secondo me un passo falso, intrappolato in meccaniche nostalgiche fino a diventare leziose, con ricostruzioni che purtroppo ricordano le riesumazioni e citazioni dei più recenti Star Wars o Blade Runner.

 

Un omaggio ad un passato, adesso ambientato in una cittadina isolata nel tempo, Summerville, che sembra esser cambiata assai poco negli ultimi quarant'anni, e che fa da sfondo alla storia di un sacrificio, quello del Dott. Egon Spengler, loquace e pazzoide scienziato dalla voce cavernosa interpretato dal compianto attore e regista Harold Ramis, che rinuncia a conoscere e crescere la sua unica figlia per impedire il ritorno di Gozer, maligna divinità sumera del 6000 a.C.

 

Se l'idea è quella, noiosa e lucrativa, di passare un testimone a nuove generazioni di acchiappafantasmi, "Reitman figlio" sfoggia una riuscita miscela di capacità di inquadrature, di montaggio e musiche (che ricordano forse fin troppo quelle di Alan SIlvestri di RItorno al futuro), e dopo una prima parte interessante ed evocativa che ci riproietta nel mistero, facendoci incuriosire e spaventare nuovamente, anche se ormai assuefatti a mali ben peggiori, per creature così fuori moda come i fantasmi, nella seconda parte scade precipitosamente verso le formule più attuali di costruzioni nostalgiche, di citazioni di situazioni e frasi dal film capostipite, che riducono una figura potente e maligna in una inoffensiva e sbrigativa apparizione, una figlia tradita in un'eroina, e sorvolo sul finale che se sicuramente commuoverà chi ha vissuto a pieno il fortunato periodo delle commedie americane degli anni '80, ma che cammina sul filo dello stucchevole.

 

L'unico film che definisco riuscito in tal senso, ponte ideale tra estetiche e convenzioni degli anni '80 ed un linguaggio e sottotesto attuali, relegando l'aspetto nostalgico funzionale alla storia, trovo che sia il recentissimo Finch del regista britannico Miguel Sapochnick. 

 

 

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