Regia di Jason Reitman vedi scheda film
Figlio anche (soprattutto?) del deludente (e da alcuni sopravalutato) reboot al femminile di Poul Feig in un’operazione che il regista de Le amiche della sposa ha trasformato in una parodia (cosa che il franchise dei Ghostbusters originali non era MAI stato), questo nuovo Ghostbusters Legacy di Jason Reitman regala finalmente ai fans il film che aspettavano da moltissimo tempo (ma dimostra anche come la formula del sequel rispetto al formato reboot sia ormai il metodo più adatto per il rilancio di un classico a una nuova generazione) per quello che è principalmente un ricordo commosso non soltanto di una (sola?) pellicola ma anche un omaggio (molto) nostalgico a TUTTO il cinema di quegli anni.
Alla regia, probabilmente non a caso, troviamo proprio Jason, il figlio di quel Ivan Reitman regista delle prime due pellicole, autore principalmente di commedie (Juno, Tra le nuvole, Young adult, Tully) improntate soprattutto nel racconto di famiglie sconclusionate, alternative e/o disfunzionali (aspetto che ritorna preponderante anche in questa pellicola) per un’eredità (per una volta il titolo italiano risulta più centrato dell’originale Ghostbusters Afterlife) che si trasmette sia fra personaggi di finzione (tra un nonno, la figlia e i suoi nipoti) che tra personaggi reali, tra registi padre e figlio ma anche tra spettatori del passato e di nuova generazione.
Ghostbusters Legacy é un film incentrato sull’eredità degli acchiappa fantasmi in un vero e proprio lascito che farà felici i fan della prima ora ma che potrà piacere anche a un pubblico (per quanto sia davvero possibile) a digiuno della loro storia per un passaggio di testimone che non succede solo sullo schermo ma anche (o almeno così sperano i produttori) tra gli stessi spettatori, ma la pellicola si presenta anche come un toccante e sentito omaggio a Harold Ramis, ovvero l’inventore, insieme a Dan Haykroyd, degli Acchiappa fantasmi, e al suo personaggio, in un tributo che permea fin dall’inizio l’intera pellicola.
Il capostipite della saga viene ripreso e/o citato continuamente, molti personaggi sono “ripresi” da quelli originali e, grazie a Youtube, si ripercorrono le loro gesta o ne vengono raccontati gli aneddoti, oppure vengono riportati “in vita” (la definizione e praticamente d’obbligo) lo stesso demone Gozer, il Distruggitore come anche Il Guardia di Porta e Il Mastro di Chiavi, viene dato (finalmente?) un volto a Ivo Shandor come, in una nuova veste, ritorna anche il marshmallow gigante e tornano (ovviamente!) anche i vari aggeggi degli acchiappa fantasmi, come gli zaini protonici, e la mitica scassatissima Ecto 1 ma anche una colonna sonora che puntualmente riprende i temi musicali originali creati da Elmer Bernstein amalgamandole ottimamente con le nuove di Rob Simonsen per un ritorno (ricatto?) emotivo di grande efficacia.
E grazie a una location atemporale, stereotipo pop dell’America anni’80, e al riutilizzo dell’intera (o quasi) mitologia dei film originali, Ghostbusters Legacy é anche un viaggio (molto) cinematografico negli anni’80 con continue strizzatine d’occhi ai classici del’epoca, come I Goonies (l’impostazione generale dei giovani protagonisti arriva direttamente dal film di Richard Donner), ma anche al recente successo televisivo di Stranger Things (oltre a proporre uno dei suoi attori la cittadina di Summerville, Oklahoma riprende fin troppo la Hawkins, Indiana della serie Netflix), a sua volta strabordante di citazionismo, per realizzare un blockbuster in perfetto equilibrio tra azione & commedia (per, quanto, rispetto agli originali, con una parte più rivelante della prima rispetto alla seconda) ma con una regia vecchia maniera, con molto del cinema di Steven Spielberg (come la saga di Indiana Jones, vedi il prologo iniziale o anche le parti nella miniera) che sembra quasi un film della Amblin e, come tale, sempre improntato a un cinema per famiglie e, quindi, con una particolare attenzione per le dinamiche familiari o adolescenziali (praticamente assente invece nei Ghostbusters originali).
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Assoluta protagonista del film la giovanissima (e bravissima) McKenna Grace, vera rivelazione della pellicola (che si può interpretare anche come una coming of age story del suo personaggio femminile) ma ottima anche la prova di Paul Rudd e Carrie Coon, anagraficamente adolescenti e quindi fan, come anche molti del pubblico, all’epoca delle pellicole originale e quindi perfetti contraltari (specie Rudd) degli spettatori di oggi, ottimamente a supporto dei protagonisti più giovani, tra cui figurano Finn Wolfhard, Logan Kim e Celeste O’Connor.
Ritornano nei loro iconici ruoli per un breve omaggio anche Bill Murray, Dan Haykroyd ed Ernie Hudson.
Jason, insieme al co-sceneggiatore Gil Kenan, crea inoltre un interessante parallelo tra il percorso dei personaggi del film, alla riscoperta del proprio passato, e il confronto più diretto proprio con il cinema di suo padre (e quindi di quegli anni) per una pellicola che funziona egregiamente come omaggio al passato, reinventandolo e adeguandolo alla sensibilità di oggi, ma meno invece come nuovo “inizio” per il franchise, un pò per il peso schiacciante proprio di quel passato e un po’ perché non si presenta così carismatico o innovativo da permettergli di avere oggi una sua funzione autoctona all’infuori del suo citazionismo d’antan.
E questa é (forse) la sua mancanza più grave.
VOTO: 7
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