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Palm Springs - Vivi come se non ci fosse un domani

Regia di Max Barbakow vedi scheda film

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La recensione su Palm Springs - Vivi come se non ci fosse un domani

di mck
8 stelle

When the Morning Comes...

 

 

Non inizia, “Palm Springs”, l’opera prima - dopo molti cortometraggi e documentari licenziati lungo tutto il corso degli anni dieci - di Max Barbakow (scritta da Andy Siara), ma prosegue, in medias res, e lo spettatore, inconsapevolmente immedesimandosi nella co-protagonista femminile, Sarah (Cristin Milioti: una piccola forza della natura - già in “the Wolf of Wall Street”, “Black Mirror - USS Callister” e, pur se in una piccola parte, indimenticabile nella splendida 2ª stag. di “Fargo”, ed ora “deserticamente” pronta per la successiva “Made for Love”, la recente serie che la vedrà nel suo primo ruolo da carattere principale - a mezza via fra Alison Brie ed Aubrey Plaza), pian piano riconosce, solo “ambiguamente” suggeriti in un percorso di rivelazione per allusioni, reazioni e conseguenze, tutti i passaggi obbligati del processo di accettazione dello stato (incredibile) delle cose relativo al loop temporale innescatosi che sono stati codificati e impressi nella pietra da “Groundhog Day” di Harold Ramis quasi trent’anni prima (e, più recentemente, lungo lo stesso solco, dal dittico costituito da “Resolution” e “the Endless” di Justin Benson & Aaron Moorhead e da “Russian Doll” di Natasha Lyonne e Amy Poehler) e che in questo caso sono già accaduti fuori campo ed ora via via si sommano venendo sottilmente rievocati dalle interazioni fra lei e il protagonista, Nyles (un Andy Samberg che le tiene testa e co-produce): dubbio → scoperta/sorpresa paura → rabbia → rifiuto accettazione (ai quali poi si aggiungeranno, fra ritorno e novità: dubbiorifiuto ricerca → scoperta/sorpresa → riavvio), perché il “Giorno 1” è in realtà - ♦ piccolissimo ***spoiler*** di metà percorso ♦ - il 100°, il 1.000°, il 10.000°, il 100.000°… Enfatic period!

 

 

J.K.Simmons è un sincopato valore aggiunto, mentre chiudono il cast l’adorabilità di Camila Mendes e l’esperienza di Dale Dickey, sardonica, di June Squibb, simpaticamente ambigua, e di Peter Gallagher, sorniona. Senza dimenticarsi in ante-antro di Spuds (l’esperto stunt Brian Duffy) e di qualche diplodocide all’orizzonte, a pascolar pasturante fra le colline e la valle.
Fotografia, molto buona, di Quyen Tran (“the Little Hours”, “Camping”, “UnBelievable”). Montaggio di Andrew Dickler e Matt Friedman. Musiche originali di Matthew Compton e di repertorio che spaziano da John Cale a Kate Bush, con “the Brazilian” dei Genesis ad aiutare Sarah con la fisica quantistica, Daryl Hall & John Oates sui titoli di coda e un accenno della versione di “the Partisan” (un inno antifascista della resistenza francese scritto da Emmanuel d'Astier de La Vigerie - poi tradotto in inglese da Hy Zaret - e composto da Anna Marly) di Leonard Cohen (in/da "Songs from a Room" del 1969) con sconosciuta voce femminile d’oltr’alpe ad incorniciare un’epifania condivisa. Dot Dot Dot. Ellipsis.

* * * ½/¾              

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