Regia di Alan Ball vedi scheda film
PRIME VIDEO
“In quel momento ho pensato: questo è il posto a cui appartengo. Non mi riferisco solo alla famiglia. E' più di quello. Ognuno di noi appartenenva a quel posto. In quel giardino. Quel pomeriggio.
In quel momento ho capito che tutti eravamo finalmente dove dovevamo essere.”
Nella Carolina del Sud dei primi anni '70, ancora saldamente e per certi versi fieramente ancorata ai tradizionali principi considerati inviolabili della famiglia tradizionale, se non alle ancor vive riminiscenze di una fosca, lunghissima tradizione schiavista che ancora incita molti dei pensieri tradizionalisti se non proprio alla intolleranza razziale, ad una ferma distinzione che parte dal colore della pelle, le vite di uno stimato professore universitario di nome Frank fuggito a New York per poter trovare quella libertà di vita privata e professionale altrimenti irrimediabilmente compromesse dalla influenza inflessibile e rigida delle proprie origini, e della sua giovane nipote quasi diciottenne Beth, ragazza giudicata un po' stramba dalle sue amiche, ma in realtà profondamente riflessiva e insoddisfatta pure lei quanto lo zio dell'aria asfittica ed irrespirabile che dilaga entro i confini della propria retrograda contea, si uniscono fino al momento in cui la ragazza lo raggiunge per continuare gli studi universitari.
Scoprendo senza troppo scalpori che lo zio cela alla sua famiglia intransigente e non pronta ad accettare certe situazioni, la sua condizione di omosessuale felice e realizzato, oltre che serenamente convivente con un compagno dolce e premuroso di origine mediorientale.
A seguito della morte improvvisa del padre del professore, nonché nonno di Beth, sa nipote, i due si mettono in viaggio assieme al compagno di Frank,per recarsi a dare l'estremo saluto ad un uomo da sempre intransigente, duro, sin spietato, le cui caratteristiche la vicenda si premura di raccontarci in alcuni riusciti e ben gestiti flash-back inerenti la gioventù tormentata e sin devastata negli affetti e nei sentimenti, del povero Frank.
Per la regia di un apprezzato sceneggiatore ed autore prettamente televisivo, quel Alan Bell premiato con l?Oscar per la sceneggiatura di American Beauty, e fautore di alcune serie tv di gran successo come Six Feet Under e True Blood, Uncle Frank racconta con stile tradizionale ma saldamente efficace e controllato una ennesima saga familiare devastata da intolleranza e pregiudizi insiti nella cultura di un paese che non riesce a rinunciare ai propri dogmi, in nome di un dio rancoroso e crudele e di una punizione divina che rende ciechi dinanzi al bisogno di tolleranza e agli stessi proclami di cui si fa portavoce una professione di fede che, ancora una volta, dimostra grande predisposizione alla predica, ma poca capacità di mettere in pratica gli insegnamenti caritatevoli di cui si fa portavoce ed emblema.
Un bel film, che sa puntare su personaggi tutt'altro che innovativi, ma ognuno delineato e studiato in profondità per rendere più credibile l'origine del dilemma e del travagli odel nostro tormentato protagonista.
Alla riuscita della pellicola, contribuiscono fattivamente i singoli, preziosi elementi che compongono il folto cast coinvolto: Paul Bettany, ritrovato finalmente in un ruolo adatto alla propria ispirazione artistica, la dolce ed ironica Sophia Lillis,attrice emergente su cui è lecito puntare molto già nell'immediato futuro, Steve Zahn e Judy Greer, nel ruolo dei genitori di Beth, nonché rispettivamente fratello minore grezzo ma non insensibile di Frank, e la sua svagata moglie; e poi soprattutto lei: Margo Martindale, una gigantessa dello schermo, meravigliosa anche stavolta nell'ennesimo ruolo solo apparentemente di contorno di giunonica madre che sa molto di più di quanto di potrebbe supporre (“una madre sa sempre certe cose”), che la segnala come una attrice ancora una volta unica, straordinaria, fondamentale per la riuscita del validissimo progetto.
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