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Horse Girl

Regia di Jeff Baena vedi scheda film

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maurizio73

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Horse Girl

di maurizio73
6 stelle

Sulle divagazioni di una narrazione che mette in campo situazioni e personaggi fuori quadro o senza sbocchi, prevale il senso sottile di un disagio umano che ribalta il consueto ordine tra realtà e apparenza con cui in genere guardiamo al disagio mentale : non spia di una insanabile patologia, ma risorsa di una insospettata capacità di astrazione.

La vita della timida e impacciata Sarah, scandita dalla grigia routine lavorativa in un negozio di casalinghi e dalla passione mai sopita di ex cavallerizza non praticante, viene sconvolta dal sonnambulismo e da inspiegabili esperienze oniriche. La sua inesorabile deriva psicotica viene ulteriormente aggravata dalle ipotesi razionali che mette in campo per giustificare gli inquientanti fenomeni che la ossessionano.

 

locandina

Horse Girl (2020): locandina

 

Alieni, zumba e ippoterapia

 

Con una variante sul tema ed in perfetto stile Douplass Brothers, la coppia Alison Brie-Jay Duplass, sbilanciata nel protagonismo della prima, sembra sostituire quella Aubrey Plaza-Mark Duplass (Safety Not Guaranteed) dove a prevalere era il secondo, nella ideale staffetta di un cinema indipendente che indaga, con amara ironia ed uno stralunato gusto del grottesco, i retaggi ancestrali di una tara familiare e gli strascichi dolorosi di un vissuto tragico (genitori assenti, incidenti d'infanzia) quali forze imponderabili in grado di plasmare personalità fragili e irrisolte votate alla solitudine sociale ed alle fantasticherie della psiche. La tesi centrale alla base del racconto resta comunque la schisi insanabile che separa il pregiudizio che grava su personalità borderline che autoalimentano le proprie ossessioni nei rituali autistici di attività razionali (la costruzione di una macchina del tempo, la formulazioni di ipotesi fondate per quanto improbabili) dalla remota possibilità che il pensiero magico che ne è alla base possa nascondere un fondo di verità: il torrente di luce che inonda l'epifania finale è in entrambi i casi la simbolica rivalsa di una ideazione illuminante e l'affrancamento da quelle restrizioni culturali che imprigionano i due protagonisti nella gabbia dorata del loro isolamento domestico. La nostra fragile protagonista (una Alison Brie da cui promana una sensualità dimessa e repressa) sembra sbagliare tutte le mosse nei rapporti con gli altri quanto fare congetture assolutamente azzeccate sull'origine e sulla natura dei suoi disturbi: una timida ma determinata indagatrice dell'incubo che incurante dei cliché in cui sembrano scadere le sue supposizioni (cloni, abduzioni aliene), mette in fila gli indizi materiali di cui dispone ("Lei mi ha mai visto prima?" chiede ai suoi due immemori e assonnati compagni di sventure) per costruire un modello sperimentale che non manca di mettere alla prova, cercando di riesumare il corpo della nonna o riproducendo le condizioni iniziali del rapimento originale (con tanto di mise anni '20 e acconciatura rétro) da cui immancabilmente far discendere (come nell'altro titolo citato) la natura ingannevole e liquida della memoria e dello stesso tessuto temporale (non il clone della nonna, ma la nonna stessa!). Sulle divagazioni di una narrazione che mette in campo situazioni e personaggi fuori quadro o senza sbocchi, prevale comunque il senso sottile e inquietante di un disagio umano che ribalta il consueto ordine tra realtà e apparenza con cui in genere guardiamo al disagio mentale (non spia di una insanabile patologia, ma risorsa di una insospettata capacità di astrazione), sovvertendo il consueto paradigma del dramma psicologico che vuole nella manifestazione di fenomeni mistici la matrice puramente ingannevole di una soggettività alienata; il cinema insomma si riprende il primato troppo spesso usurpato dal modello più vieto del film di genere, confermando la natura arbitraria di una verità liberatrice che solo il coraggio di una produzione veramente irriverente  e indipendente (quasi, visto che distribuisce Netflix) ha la sfrontatezza di condurre alle sue estreme conseguenze ad onta del ridicolo.

 

"Una volta eliminato l'impossibile ciò che rimane, per quanto improbabile, dev'essere la verità."

 

 

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Ultimi commenti

  1. mck
    di mck

    Sono due film differenti per principio (cioè per il finale), ma l'assonanza con SNG (del tutto SF rispetto a Horse Girl, che - non voglio spoilerare - rimane più ancorato all'aspetto clinico-scientifico, nonostante il "finale" alla the Vvitch) non l'avevo fatta, ci sta benissimo cmq. e te la rubo :)

    1. maurizio73
      di maurizio73

      Proprio lo spirito indipendente dei due film incoraggia una lettura al di là dei generi, anzi a dispetto dei generi visto che il nodo centrale mi sembra proprio il disagio dei personaggi e le soluzioni eterodosse che entrambi propongono alla loro impasse sociale (sono emotivamente bloccati dal trauma: lui l'incidente con la ragazza, lei con l'amica del cuore): una fuga della realtà che si risolve nell'illuminazione finale.

    2. mck
      di mck

      Sì, confermo il "ci sta benissimo", concordo in pieno, quello intendevo per questione di "principio", sulla quale per l'appunto si può soprassedere.
      Non sarei così certo sull'illuminazione da un solo punto di vista, ovvero quello di considerarla _finale_ dalla prospettiva della protagonista e dal dipanarsi lineare del film: penso quel climax faccia parte della sua storia passata (la fuga improbabile dall'ultimo ricovero "forzato" comincia là dove il film "finisce", ovvero intorno all'ora e un quarto, con la buonanotte da parte dell'infermiera, poi la prima apparizione del cavallo fuori dal negozio all'inizio del film che si ricollega con quella pre-finale, e l'incongruenza tra quanto afferma il dottore ("Sei qui da 72 ore") e ciò che sostiene lei ("Sono qui da ieri sera") - il loro 2° incontro è in realtà il 1°... -, etc... È sì il PdV di una schizofrenica, ma il film lascia campo alla propria "ricostruzione", almeno in parte...

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