Nella prima scena vediamo la giovane mamma dublinese Sandra volteggiare in cucina con le sue due bionde bambine sulle note di Chandelier di Sia. Un breve momento di spensieratezza bruscamente interrotto dall'arrivo del marito violento, che si avventa su Sandra mentre la figlia maggiore, grazie ad una parola in codice, riesce ad avvertire la polizia. Sandra e le bambine vengono temporaneamente accolte in un albergo, ma il padre gode ancora del diritto a tenere le figlie nei fine settimana. Sandra, davanti alla prospettiva di lunghi mesi in una stanza d'hotel, si ingegna con il progetto di costruirsi da sola una casa fai-da-te, sul terreno generosamente messo a disposizione da una dottoressa invalida e contando sull'aiuto di un gruppetto di volenterosi altruisti.
Un film sulla violenza domestica e sulla voglia e forza di ricominciare lasciandosi alle spalle una condizione di vittima, Herself aveva nel soggetto le sue potenzialità di riuscita. Purtroppo la regista sceglie la strada dell'eccessiva semplificazione, annullando le necessarie sfumature con una sceneggiatura tagliata con l'accetta. Un marito stereotipicamente cattivo, troppo violento perché risulti credibile che gli facciano ancora tenere le bimbe, un di troppo di sentimentalismo e di semplificazione buonista nella storia della costruzione della casa, una certa sciatteria nella messinscena, tutto ciò fa afflosciare un progetto che avrebbe meritato una trattazione più curata, più intelligente e meno manichea per sviluppare le sue indubbie potenzialità.
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