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Mai raramente a volte sempre

Regia di Eliza Hittman vedi scheda film

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La recensione su Mai raramente a volte sempre

di mck
9 stelle

Due etti e poco più, due mignoli intrecciati, e qualche livido (temporaneo e permanente).

 

Salve, sono Troy McClure*, forse vi ricorderete di me per alcuni filmati di auto-aiuto come “Petardo, il killer silenzioso” e “Abbi fede in te, stupido”.

Un grumo di vita, 18 settimane circa (due giorni e una notte invece che un day hospital), ovvero “Never Rarely Sometimes Always” [il lungo piano sequenza a camera fissa sul volto della protagonista che incarna, rivela e definisce il titolo del film è un altissimo frangente wisemaniano (ma andrebbe ricordato anche, fra i tanti in zona Minnesota Test & Co., almeno il momento presente in “Leave No Trace” di Debra Granik) che inscena la ricreazione più vera del vero dei magnifici e fondamentali “Welfare” e “Domestic Violence”), è la versione edulcorata – e non perché l’una è ambientata durante il mandato (a fare in culo) Trump e ciò ch’è rimasto dell’Obama Care muovendosi dalla Pennsylvania rurale (coi "didattici" 8/16mm & VHS/DVD* antiabortisti) a New York City e l’altra invece sul finire dell’era Ceausescu nello sprofondo romeno – di “4 mesi, 3 settimane e 2 giorni” (vale a dire 20 settimane e ½) di Cristian Mungiu, del quale è - solo nel senso coincidenziale del termine: tutto il mondo è paese, e le storie, con le loro peculiari ed eterogenee circostanze da contestualizzare, quelle sono - “remake” in tempo di democrazia “occidentale”.

 

Sidney Flanigan

Mai raramente a volte sempre (2020): Sidney Flanigan

Talia Ryder

Mai raramente a volte sempre (2020): Talia Ryder


Grandiose entrambe le protagoniste, semi-esordienti assolute, Sidney Flanigan (Autumn) e Talia Ryder (sua cugina, amica e collega, che l’aiuta nel viaggio health/care), che più o meno all’epoca delle riprese avevano effettivamente l’età dei personaggi che stavano impersonando: un’inter(pret)azione magnifica, la loro: fra loro e con la macchina da presa. Due pennellate, poi, bastano per dipingere il quadro genitoriale di Autumn e quello dell’assistenza sanitaria made in U.S.A.: partendo dalla madre (la bravissima Sharon Van Etten - “Twin Peaks 3 - ep. 6” e the OA” -, che chiude il film con la sua, scritta appositamente per il film, “Staring at a Mountain”), ch'è costretta a scegliere di preferire la pericolosa repellenza del nuovo compagno (Ryan Eggold, ottimo in un ruolo altrettanto repellente rispetto a quello recitato in “BlacKkKlansMan”), la sua “necessaria” presenza, al fatto di non averne uno, passando per un giovane uomo (il convincente Théodore Pellerin di “On Becoming a God in Central Florida”) come tanti (si consideri a tal proposito la folta caterva d'essi, adulti e predator/profittatori, presente nel recente e coevo “Promising Young Woman” di Emerald Fennell), e giungendo a tutta la schiera di psicologhe, consulenti finanziarie, anestesiste e chirurghi.

Fotografia - naturalista, aderente ai corpi e sinuosa al territorio - di Hélène Louvart (con la regista dal precedente “Beach Rats”, e poi: “Corpo Celeste”, “the Smell of Us”, “le Meraviglie”, “Arianna”, “Lazzaro Felice”). Montaggio di Scott Cummings (con la regista sin dall’esordio di “It Felt Like Love”, e poi il recente “Wendy” di Benh Zeitlin). Musiche, molto belle, della cantautrice Julia Holter (“Pure” di Kirstie Swain).

Producono BBC e CineReach. Distribuiscono Focus Features / Universal Pictures.

Le due ragazze guardano abbastanza impaurite la zombesca sfilata di deficienti in fastidiosa preghiera di fronte alla clinica memori, forse ed anche, della sparatoria alla Planned Parenthood di Colorado Spring del 2015.

 

Due etti e poco più, due mignoli intrecciati, e qualche livido (temporaneo e permanente). 

* * * * ¼ - 8 ½

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E poi, il diritto all’aborto ai tempi del SARS-CoV-2: https://www.ilpost.it/2020/04/03/aborto-ivg-coronavirus/.   

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