Regia di Eliza Hittman vedi scheda film
Assegnandone tre, sottraggo volutamente una, forse due stellette alla mia valutazione sintetica: una bellissima sceneggiatura e un'ottima regia (per non dire della fantastica prova dell'attrice protagonista) mancano colpevolmente di una valutazione complessiva della questione "aborto", in perfetto clima di pensiero main stream.
Indiscutibilmente indovinato praticamente tutto dagli autori di questo film, in particolare la sinergia tra le due splendide attrici protagoniste (naturalmente molto più per Sidney Flanigan/Autumn rispetto al personaggio in secondo piano interpretato da Talia Ryder) e ciò che dei-e-con i loro visi Eliza Hittman riesce a rendere in profondità umana e drammaticità sociale. E sopra ogni cosa, trovo particolarmente felice la scelta del titolo, un titolo strano fatto di avverbi messi in fila che andrà poi efficacemente a coincidere con il climax del film, una lunga sequenza dello straziante colloquio (interrogatorio? confessione?) che la riluttante Autumn è chiamata a sostenere con l’assistente sociale di turno.
Purtroppo però, volendomi appartare per un momento dal coro pressoché unanime di consensi al quale mi sono convintamente unito nella premessa, vorrei rilevare come, di nuovo con questo film, il pensiero main stream della società contemporanea in temi di etica (che si riflette poi nella cultura, dunque anche nel cinema) tolga di mezzo con faciloneria e presupponenza quanto meno una buona metà degli argomenti in campo. Porto solo due esempi. Il primo, quando ad Autumn venga chiesto se voglia prendere in considerazione l’ipotesi di dare in adozione il suo bambino: Autumn, pur in nome di una compiuta sceneggiatura, rimettendosi il giubbotto e trattenendo uno scoppio di pianto nervoso, lapidariamente replica una volta per tutte: “Ora come ora non saprei cosa rispondere”. Il secondo, ancora più classico: il manipolo di cristiani oranti davanti alla clinica abortista, nei confronti dei quali, ad essere sincero, mi pare che la Hittman si pronunci soltanto con un accenno di colorimetria grigia e polverosa senza infierire più di tanto, ma forse proprio per questa sottile accortezza finisce inevitabilmente per suscitare nel pubblico main streamizzato l’idea di un gruppo di deficienti preistorici sull’orlo dell’estinzione.
Il discorso sarebbe lungo, questa non è la sede ed io non sono il portavoce migliore, ma ad un film che tratti di aborto (altri ce ne sono stati e spero ce ne saranno...) vorrei chiedere che sappia mettere sul piatto della bilancia tutti i motivi e le ragioni, e le non ragioni e gli errati motivi per cui oggi con tanta facilità e frequenza tante Autumn sono chiamate a vivere quel dramma, nel nome e sotto la bandiera di una libertà che ci sta subdolamente massacrando (sotto questo aspetto e sotto altri: siamo liberi sì o no di consumare tutte le risorse energetiche del pianeta di un intero anno nei primi sei sette mesi dell’anno stesso?). Ciò servirebbe anche a difendere e proteggere le eventuali stesse buone intenzioni degli autori dai clamorosi autogol ai quali il pubblico main stream esulta con modernissimo cretinismo, come quando, da film come “Never Rarely Sometimes Always”, qualcuno o qualcosa ancora si diletta a concludere che sia tutta colpa degli uomini (intesi come maschi), sempre pronti ad approfittarsi del loro cazzuto, preistorico potere.
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