Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Una ragazza analfabeta, compagna di un sovversivo finito in carcere, viene assunta come balia da uno psichiatra: trova un’ottima intesa con il bambino, chiede all’uomo di insegnarle a leggere e a scrivere e suscita la gelosia di sua moglie per entrambi i motivi. Bellocchio modifica radicalmente la novella di Pirandello (dove, fra l’altro, l’uomo fa l’avvocato e il bambino della balia alla fine muore), trasformandola nella vicenda di una coppia prigioniera della propria condizione borghese e messa in crisi quando entra in contatto con la vitalità popolare di un’estranea. La casa ovattata, che attutisce i rumori, è l’ambientazione ideale, anche se crea qualche problema allo spettatore: quando parla Valeria Bruni Tedeschi (una che dovrebbe essere doppiata d’ufficio) non si capisce quasi nulla. La seconda parte, allontanatasi la moglie, diventa una storia esemplare di alfabetizzazione: la ragazza conquista faticosamente le parole per esprimere i sentimenti che ha dentro di sé, e che negli altri si sono come atrofizzati. Tutto funzionerebbe bene, se il regista non avesse voluto infilare a forza anche il tema della malattia mentale (una sua vera fissazione) e le lotte sociali del primo Novecento, dando spazio al personaggio dell’assistente convertito alla causa socialista e appesantendo quello che doveva restare un confronto a tre: le scene con le manifestazioni di piazza sono insopportabilmente oleografiche.
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