Regia di Marco Bellocchio vedi scheda film
Non è facile giudicare il film di Bellocchio, film con alcuni pregi e moltissimi difetti. L'apologo è tutto teso a dimostrare come la balia analfabeta possa insegnare ai borghesi "padroni" l'amore per la libertà di scelta (contenuto nelle lettere che il fidanzato le invia dal carcere) e la propria dignità di donna e di madre: il medico vorrebbe che ella, per accudire suo figlio, rinunciasse al proprio bambino, ma la balia gli dimostra di poter prendersi cura di questo e di quello. Gli attori sono bravissimi, specialmente Bentivoglio e la Sansa, anche se quella di Placido, più che una "amichevole partecipazione" (cosa si deve intendere? che non ha voluto compensi oppure che aveva di meglio di fare e per amicizia ha perso un po' del proprio tempo per Bellocchio?) è veramente una comparsata, confinata all'inizio del film. I difetti del film sono numerosissimi e alcuni risiedono già nella sceneggiatura, come l'inutile storia collaterale del giovane psichiatra (Bellocchio, figlio del regista) che fugge insieme a un'agitatrice politica (Lustig), o come l'inserzione puramente titillatoria della scelta della balia, dove una serie di candidate devono tirare fuori le tette di fronte al futuro padre (ma funzionava davvero così?). Il problema peggiore, però, per un regista come Bellocchio, peraltro uno dei nostri migliori e più dignitosi registi, è che non ha più molto da dire (resto comunque in attesa di vedere "Buongiorno, notte"), avendo già detto quasi tutto quel che c'era da dire sull'istituzione famiglia con il suo film d'esordio, "I pugni in tasca" (1965).
Presenza siperflua.
Molto brava e molto bella, all'esordio prometteva già di diventare una delle migliori attrici italiane di questi anni.
Una brava attrice che, non so perché, mi mette a disagio.
I mezzi toni sono la sua forza e in questo film è perfettamente misurato. La bilancia pende dalla sua parte, meno da quella della regia.
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