Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film
Da un'oggettività della visione impossibile da trovare per mezzo della tecnologia derivano grandi responsabilità sociali che collimano drammaticamente con il nulla.
Coppola ritrae la tensione morale di un intercettatore (il cui manifesto cattolicesimo ricopre una funzione di mero rivestimento, una formalità estetica presto tradita) che invano tenta di alienarsi dalle responsabilità che dal proprio lavoro derivano. La maschera attoriale del protagonista, possente e granitica, si muove a proprio agio, tra un brano jazz e dei colpi solitari di pianoforte, nella solitudine metropolitana tipica del cinema americano degli anni Settanta. La struttura del film procede per ricostruzione e sovrapposizione mediante varie apparecchiature tecnologiche dall'imponente corporeità analogica (che non esenta la visione da una percezione feticistica dell'oggettistica); è un puzzle maniacalmente portato avanti al fine di raggiungere un oggetto reale (un fatto), determinato, logicamente incastonato tra una causa e un effetto. Tale metodicità, però, seppure esatta nei propri sviluppi, conduce a una trasfigurazione dell'univocità della conclusione raggiunta, sovversione e rovesciamento che lasciano spazio a una desolazione nichilistica che fa tabula rasa sia dello spazio esteriore (l'appartamento snaturato) che di quello interiore (la disperata suonata di sax che richiama il folle coro del "Viva Topolin" di "Full Metal Jacket" di Kubrick).
La deflagrazione finale rasenta lo shock, in largo anticipo sul "Settimo continente" di Haneke.
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