Regia di Florian Zeller vedi scheda film
Sebbene la costruzione della vicenda, la caratterizzazione dei personaggi, il labirinto ingannevole che intrappola la mente ormai fragile ed incerta del protagonista (tale da rendere lo sviluppo dello script un infinito gioco di specchi) siano tutti elementi a favore di questo melodrammone “The Father”, devo dire (forse scioccamente, me ne scuso) che quando ad un attore come Hopkins (anch’egli giunto ad un’età venerabile ma a quanto pare per niente in vena di cedimenti strutturali) comincia ad essere richiesto il ruolo di vecchio rincoglionito si è arrivati in qualche modo a marcare l’approssimarsi di un momento critico nella sua carriera.
Hopkins risponde a tale richiesta da par suo: “Hopkins è” questo film (senza nulla togliere ai suoi ottimi comprimari, Olivia Colman in primis), ma ho trovato che in alcuni momenti (verso il finale, ad esempio, la scena del “pianto bambino”) al grande attore gallese classe 1937 siano state necessarie alcune forzature alle quali uno come lui non credo si sarebbe prestato in anni precedenti.
Come una cartina al tornasole, la performance di Hopkins a contatto con quella del regista Florian Zeller (tanto per non abbandonare il filone anagrafico) reagisce di conseguenza: la giovane (troppo giovane) età del regista colora con sfumature improprie il ritratto di una vicenda forse troppo grande per lui, nella quale ha tentato di affondare restando invece a mio avviso superficiale e stereotipato. Una visione limitata, ridotta, di costume ma non di vita, tutta tesa all’incanto degli specchi senza arrivare all’anima delle cose e delle persone, tanto da fare di un Hopkins quel buffo ottantenne che “si succhia il pollice” chiamando la mamma.
Una media ponderata tra il voto “fuori target” per il cast e la regia, mi costringe ad una risicata sufficienza che certo la Notte degli Oscar (esiste ancora una Notte degli Oscar, in era COVID?) saprà contraddirmi.
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