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Antebellum

Regia di Gerard Bush, Christopher Renz vedi scheda film

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La recensione su Antebellum

di mck
8 stelle

Prima della Liberazione.

 

Raccogliere il cotone coltivato.
Ammucchiare il cotone raccolto.
Bruciare il cotone ammucchiato. (♦)
Coltivare il cotone da bruciare.

 

«L’ultima volta che sono tornata a casa ho perso un braccio, il sinistro.» 
Octavia E. Butler (1947-2006) - “Kindred” - 1979 [ultima edizione italiana: “Legami di Sangue”, SUR (collana BigSur), 2020, traduzione di Veronica Raimo].

«Non potevo lasciare che tornasse com’era prima: la schiavitù nel periodo prebellico non lasciava le persone inte(g)re.» 
Octavia E. Butler, citata da Paolo Simonetti nell’articolo de "il Manifesto" dedicato alla recente riedizione del romanzo.

 

(♦) "...a spaccar pietre bianche e poi gettarle in mare. Adriatico. Perché la pena è pura, non ha valore pratico. E il mare non si riempirà."

Da "il Prigioniero Ante", canzone tratta dalla poesia inedita "Per Ante Zemljar" di Erri De Luca (poi inserita in "Solo Andata", Feltrinelli, 2005) messa in musica e interpretata da Marco Paolini e i Mercanti di Liquore (dall'album "Sputi" del 2004).

 


Qualcuno doveva pur farlo un film sullo sfruttamento dei braccianti da parte del caporalato.
Ed ecco arrivare Gerard Bush, afroamericano, e Christopher Renz, caucasico, con la loro opera prima nel lungometraggio (un paio di momenti “troppo” videoclippari - ovvero non à la Jonathan Glazer, m’alla Tarsem Singh - nel corso della narrazione, specialmente nei climax, compaiono e persistono), da loro scritta e co-prodotta (con QC Entertainment - e un’anima blumhousesca, rappresentata dallo Sean McKittrick di “Get Out”, “Us” e “BlacKkKlansMan” -, mentre la distribuzione è affidata a LionsGate ed Amazon), che, con un cast appropriato e convinto -[Janelle “Cazzimma” Monáe - “MoonLight”, “Hidden Figures” “Welcome to Marwen”: ne avessi visto mezzo, ma di Barry Jenkins, Theodore Melfi e di questo Robert Zemeckis poco mi cale -, Jack Huston ("BoardWalk Empire", "the IrishMan", "Fargo - 4"), Kiersey Clemons (“Easy”, “Transparent”) ed Eric Lange (“Wind River”, “UnBelievable”), mentre a Gabourey Sidibe (“Precious”, e no, neanche Lee Daniels è my coup of tea) e alla refniana Jena Malone sono affidati i caratteri più caricaturali: l’una lo addomestica bene, ove l’altra invece non lo controlla appieno]- e una squadra tecnico-artistica di rilievo [fotografia di Pedro Luque (il Millennium più scrauso di Fede Alvarez), montaggio di John Axelrad (sodale di James Gray) e musiche (splendiderrime) di Roman GianArthur Irvin e Nate “Rocket” Wonder] "rischiano" e convincono quasi appieno (immancabile l'espediente del soldatino impacciato e "quindi" buono che si rivela essere - una volta disimpacciatosi perché sentitosi, ehm, sfruttato - un aguzzino come tutti gli altri della sua schiatta/razza/feccia).

 

 

Antebellum” è un thriller neo-slave con venature di horror-sociale (e cos’è “Django UnChained” se non un horror?) e, come formativa collateralità emergente, uno studio ontologico (passato & memoria, presente & percezione sensoriale, futuro & immaginazione) sullo stato dell’arte del presente statunitense e non solo, qui ed ora che si suddivide in reciproci sottoinsiemi epifenomenici costitutivi dello zeitgeist: il passato extra-diegetico / presente diegetico che collassa nel futuro/presente turistico a circondare l’AnteBellum World, il passato rievocato nel presente che circonda confinandolo e proteggendolo a guisa di metaforico filo spinato pavloviano l’Antebellum World e l’infernale limbo nucleico di un presente diegetico che si scopre passato extradiegetico incarnato nel cuore nero dell’Antebellum World vero e proprio con fisica metafora iperbolica: un futuro ch’è eterno presente infetto e contagioso ma non ancora in limine mortis, un passato mai morto ma contenuto dalle forze dell’eterno presente in dispiegantesi farsi e in limine vitae.

Antebellum” s’inserisce, col suo portato di genere [e l‘horror è, se non da sempre almeno a partire dagli anni '70, il genere, a parte il documentario, più militante e politico], all’interno del filone cine-musico-letterario neo-slave, con digressioni varie (i vari -ismi nelle loro accezioni positive e negative: femminismo, ambientalismo, integralismo/fondamentalismo religioso, etc…), qui elencati in una teoria casuale a mezza via fra l’importanza e l’attualità: “Get Out” e “Us” di Jordan Peele, “the Village” di M. Night Shyamalan, “the Hunt” di Craig Zobel, “This is America” e Guava Island” di Hiro Murai e Donald Glover, “Space Is the Place” di Sun Ra, “Beloved” di Toni Morrison (e Jonathan Demme), “Erasure: a Novel” di Percival Everett, “the Underground Railroad” di Colson Whitehead, “the Handmaid’s Tale” di Margareth Atwood

 


“The past is never dead. It's not even past.” - Da "Requiem for a Nun" (1951) di William Faulkner (in esergo).

Un film antirazzista e non cancel-culture.
La statua equestre rimane in piedi (e mette in atto anche una sua certa basilare utilità), la giacca blu (double face, combattuta fra il rispetto della Costituzione e l'ardore abolizionista) viene indossata.
Perché abbattere monumenti quando si possono ammazzare uomini bruciandoli vivi?


Ante-Bellum: prima della guerra civile di secessione (unificazione).

La versione moderatamente postmoderno-massimalista di "Harriet", un film di Kasi Lemmons di un anno prima con la stessa Janelle Monáe. (Verrà poi "Alice" di Krystin Ver Linden con Keke Palmer.)

Entusiasmante finale (che arriva dopo una sequela action che disinnesca la sospensione dell’incredulità fino a quel punto funzionante) d’impressionante commistione fra il ridicolo e l’epi(fani)co.

 


«Antebellum Isn’t Just Bad, It’s Vile. To make a point about the evils of white supremacy, the film subjects its Black characters to unceasing brutality.
[…] The simple, stark imagery of Bush and Renz’s film will shock audiences but collapse under scrutiny, lazily reminding us of the cruelty of America’s past while unintentionally embodying the ignorance of the present.»
Ignoranza del presente totalmente, pienamente, perfettamente rappresentata da David Sims, l’autore dell’articolo di "the Atlantic" da cui ho tratto lo stralcio soprastante.

(Se e quando avesse assistito a "12 Years a Slave" di Steve McQueen senza rimanerci secco auspicherei che per l'occasione abbia almeno acceso un cero alla Madonna dei Tonti. Anche s'è un'evidentemente impossibile azione ossimorica di causa-effetto, una contraddizione in termini.)
Tra i neologismi sincratici in voga da un po’, non ci mancava lo whitesplaining (che infatti non è: è solo fucknutsplaining).

 

Autenticità - ovvero: giù la maschera dell'Indole Mite (e ritorna, facendo fare un salto di qualità alla mitezza, promuovendola al collaborazionismo, "Django UnChained", nella persona di Stephen, il capo della servitù interpretato da Samuel L. Jackson) -, e non assimilazione, integrazione, uguaglianza "forzata" in questa società-mondo in cui il razzismo è sistematico e strutturale. Vale per la questione razziale e di genere, e per qualsiasi questione identitaria.

 

"L'unica cosa che abbiamo da perdere sono le nostre catene." - Assata Shakur - BPP & BLA (con risonanze italiane).

La Liberazione è al di sopra dell'Integrazione.

Si vis pacem, para bellum. Un film reazionario? Un film necessario.

* * * ¾ - 7½    

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