Regia di Jacques Doniol-Valcroze vedi scheda film
All’indomani della morte della ricca possidente lady Henriette, il notaio Miguel convoca nel castello i tre nipotini della defunta: Jean-Paul, la sorella Séraphine e la loro cugina Miléna, che già abita nel maniero e non ha mai conosciuto i suoi co-eredi. In realtà, Jean-Paul potrà arrivare solo alcuni giorni dopo, cosa di cui è a conoscenza solo Séraphine, che si presenta all’appuntamento con il suo amante Robert, facendolo passare per il fratello. Alla gigantesca dimora accudisce il maggiordomo César, che corteggia con goffa ostinatezza Prudence, neo-assunta cameriera. Bastano poche ore per far nascere tra questi personaggi intrecci amorosi che mandano all’aria lo schema delle loro precedenti relazioni.
Fa sorridere l’idea che alla sua uscita questa innocua commedia del 1960 abbia suscitato reazioni indignate e polemiche da parte di critici benpensanti. L’equivoco è ben rappresentato dalla fuorviante traduzione del titolo originale “L’eau à la bouche”, letteralmente “l’acquolina in bocca”, che in italiano diventa “Le gattine”, alludendo a chissà quali rappresentazioni e comportamenti da parte delle interpreti femminili. La vicenda ha certamente un sapore libertino, ma di stile letterario. Direi che, a livello di immagini si tratta di un film addirittura casto. Ritengo più corretto soffermarsi sugli aspetti che lo rendono interessante, fermo restando che si tratta di una pellicola leggera leggera e senza pretese. Di sicuro impatto è l’ambientazione nel magnifico castello di stile barocco valorizzato al meglio da Roger Fellous, direttore della fotografia scelto cinque anni dopo da Luis Bunuel per il suo “Diario di una cameriera”. Due scenari simili tra loro per due film ovviamente non paragonabili. Quello di Bunuel è un’opera d’arte, questo una modesta pochade. Il gruppetto di attori si presta al gioco senza brillare, fatta eccezione per il maggiordomo César interpretato da Michel Galabru e per la graziosa Prudence, personaggio al quale Bernadette Lafont conferisce una gioiosa e discreta sensualità. La regia del film non va oltre l’ordinaria anche se onesta amministrazione. Benché co-fondatore insieme a André Bazin dei Cahiers du Cinéma, Jacques Doniol-Valcroze non sarà ricordato come regista di rilievo della Nouvelle Vague. Tra i suoi modesti titoli questo è forse il migliore, forse anche in virtù della colonna sonora affidata a Serge Gainsbourg. Siamo ancora all’inizio della carriera del geniale compositore cantante e paroliere francese, la fase più jazzistica, che ben si adatta al contesto generale del film. La canzone fu scritta specificamente per questa occasione, fu pubblicata una settimana dopo l’uscita della pellicola e ottenne un successo non trascurabile.
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