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L'uomo che vendette la sua pelle

Regia di Kaouther Ben Hania vedi scheda film

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La recensione su L'uomo che vendette la sua pelle

di alan smithee
3 stelle

Yahya Mahay

The Man Who Sold His Skin (2020): Yahya Mahay

VENEZIA 77 - ORIZZONTI Un giovane siriano dal fisico atletico e dal carattere piuttosto espansivo e poco propenso alle imposizioni, fugge dalla guerra che sconvolge il suo territorio natio e, come prezzo per raggiungere il tanto sospirato Occidente, accetta la controversa e azzardata proposta di un artista d'arte contemporanea, di diventare un "tableau vivant", facendosi tatuare nella schiena ben strutturata e piacevole alla vista, una rappresentazione di un eccentrico quanto ricercato artista. Così facendo l'uomo ottiene a caro prezzo la libertà che dovrà in qualche modo conciliare il suo nuovo status di ooera d'arte, scatenando altresì altre problematiche di tipo etico legali, legati all'assicurazione che l'uomo incorpora nella sua pelle, e che lo espone anche alle probabilità di decesso che si sommano acquelle di normale deperimento o di furto, tipiche di una ordinaria opera in cornice. L'ultimo, controverso lavoro della regista tunisina Kaouther Ben Hania, che ci aveva assai favorevolmente impressionato col suo incalzante e sconvolgente La bella e le bestie, tenta di accostare tematiche scottanti ed attuali come quello dei rifugiati politici e dei profughi, con le ragioni e le dinamiche di un arte moderna che pare utilizzi l'eccentricità e le soluzioni insolite, come sua unica risorsa per creare novità e tendenza, in un'arte che evidentemente non riesce a trovare sbocchi interessanti e concreti. 

Yahya Mahay, Monica Bellucci

The Man Who Sold His Skin (2020): Yahya Mahay, Monica Bellucci

La storia si rivela presto un pasticcio imbarazzante, coadiuvato in tal senso dal subentro di personaggi davvero sopra le righe o schematici, per non dire ridicoli, tra cui campeggia la figura della mercantessa d'arte Soraya, qui resa da una stregonesca e platinata Monica Bellucci all'apice, spiace riferirlo, della sua incapacità recitativa senza rimedio (e dire che in Irreversible fu davvero strepitosa!!). Puntellato da una storia d'amore che crea ulteriori imbarazzi, o da storielle di contorno risibili (la pustola purulenta sulla schiena del protagonista che minaccia l'integrità dell'opera) il film fa rimpiangere, nella dinamica della pittura su pelle, il capolavoro totale di Greenaway, The pillow book, quello si un gran film, e si rivela il film "weird" per eccellenza di Venezia 77, senza che la circostanza possa tradursi in un complimento o un semplice apprezzamento al film.

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