Regia di Sharunas Bartas vedi scheda film
Un racconto per immagini che bandisce la parola, il linguaggio lasciando spazio all'osservazione, al confondersi dei rumori, al succedere naturale degli avvenimenti e, più in generale, allo scorrere del tempo in un non-luogo che diviene anche una dimora, un piccolo universo in grado di accogliere un gruppo eterogeneo ed eccentrico di personaggi, umani e non, accatastati tra le stanze di una sontuosa villa immersa in un parco spoglio durante un freddo periodo invernale.
E' il cinema contemplativo, affascinante e straniante del singolare, per certi versi meraviglioso autore lituano Sharunas Bartas, conosciuto (da qualche eletto) in Italia per il suo capolavoro “Lontano da Dio e dagli uomini” (immediatamente precedente questo lavoro), incredibilmente distribuito nelle sale nel suo anno di produzione, grazie alla lungimiranza di Nanni Moretti, che ne curò la distribuzione assieme ad un'altra manciata di altri titoli preziosi e rari, altrimenti di certo destinati alla clandestinità, almeno nel nostro paese.
Coproduzione franco-portoghese-lituana in cui la macchina segue un giovane ragazzo che vaga per le infinite stanze di una villa decadente sperduta nella campagna invernale di chissà dove, cinta da un lago ghiacciato che la abbellisce accrescendone il fascino; in ogni locale in cui egli si addentra, si sofferma su alcune persone, situazioni particolari, scene di gruppo di quello che potrebbe sembrare un sanatorio, o un manicomio, o una casa di cura in genere; di certo qualcosa in quella casa non funziona: l'ordine delle cose pare non caratterizzare più l'organizzazione di quel microcosmo, ove regna per contro un caos pittoresco, affascinante, ma pure allarmante.
Vecchi ed infermi che emettono gemiti indecifrabili, gruppi di fanciulli e fanciulle nudi e chiassosi in festa; persone ammutolite dallo sguardo fisso e perso verso il vuoto, quando ormai non c'è più bisogno di profferir parola alcuna. E ancora stanze col pavimento ricolmo di terra accuratamente arata e ricomposta dove vengono pure piantati alberelli e vegetazione varia; una cagna che, salita su una tavola immensa ed imbandita dopo che anche il nostro protagonista si è cibato con una certa voracità, si avventa sul cibo triturando con la mandibola ossa e altri generi alimentari; e molto altro ancora, in un vortice di suggestioni e mistero che attrae ma lascia anche piuttosto interdetti.
Il delirio di una società che si ritrova libera, ma incapace di organizzarsi, e dunque votata alla autodistruzione serena e inconsapevole, fino almeno al sopraggiungere di un sinistro convoglio di forze armate che accorre, forse richiamato dal frastuono di mortaretti e fuochi d'artificio che suggellano la festa dell'imprudenza e della indolente spensieratezza.
E con il ristabilirsi dell'ordine, cadono le prime vittime, e si immolano le prime emblematiche crocifissioni.
Tra i figuranti, oltre al protagonista dallo sguardo intenso, Francisco Nascimiento, riconosciamo l'attrice italo-francese Valeria Bruni Tedeschi, l'attore di colore Alex Descas che ricordiamo nel film di Claire Denis "S'en fout la mort", e lo stimato regista Leos Carax, uno dei cineasti che ha contribuito a far conoscere al mondo l'opera di Bartas, nonché caro amico del regista lituano che è stato anche interprete di un piccolo ruolo nel controverso ma affascinante Pola X.
Le atmosfere ci sono, la presa scenica seduce certamente, ma il film non si può minimamente paragonare alla perfezione manifestata dal già citato Lontano da Dio e dagli uomini, misterioso e attanagliante, ma soprattutto puro, senza mai dover sfiorare, come quest'ultimo The house, il compiacimento di una costruzione barocca un pò troppo artefatta o artificiosa.
Forse manca la tensione, o forse più semplicemente la perfezione della costruzione scenografica svia l'occhio da una concentrazione che invece nel precedente film riusciva a catturare lo spettatore, pur restando la narrazione nell'ambito di una rappresentazione contemplativa totale e in completa assenza di un dialogo.
Resta indubbio il valore di un regista affascinante e insolito, dallo stile che ricorda, soprattutto in questo suo film, la ridondanza scenografica di un Greenaway meno esuberante e più riflessivo; un regista, questo Bartas, che cercherò di scoprire meglio cercando di far mie le altre opere che caratterizzano la sua non sporadica produzione fino ad oggi disponibile.
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