Regia di Clint Eastwood vedi scheda film
Frank Beechum, un nero di trent'anni condannato per l'assassinio di una giovane donna bianca in un supermarket, sta per essere giustiziato. Steve Everett ( Clint Eastwood) , un giornalista ex alcolizzato e dalla vita privata devastata, si trova casualmente a dover scrivere un pezzo per il giornale locale, l' Herald Tribune. Ma una volta preso il fascicolo del caso , si accorge che il condannato potrebbe essere innocente.
Mi piace pensare che ci sia un po' di Steve Everett in ognuno di noi. Un uomo che non può arretrare davanti a niente e nessuno, perché incapace di farlo, non importa che si tratti del capo redattore infuriato (un magnifico James Woods) o della propria moglie disperata e delusa, non importa neanche quando a bussare sono i mastini nello stomaco che ruggendo chiedono una nuova sbronza.
In questo grande grande film , al di là del genere ( un ottimo thriller) ed una netta presa di posizione contro la pena di morte, c'è una profonda malinconia per una giustizia ricercata, sfuggente e struggente, soffocata da un sistema incapace di pensare, e a cui neanche la religione sa dare spiegazioni. E la stampa? Per Clint è cialtroneria, buona per lavare le coscienze dei lettori sfornando pezzi di "utilità morale" che non sanno guardare dove devono.
Cosa resta allora?
Come dice Everett, " il mio fiuto. È l'unica cosa che ho". Parole che suonano come macingni, un magro bilancio per un vecchio detective devastato da sconfitte ed errori personali, a cui non rimane che una fiducia ballerina in se stesso.
Un tema delicato trattato con una sensibilità che rasenta il limite senza ostentare (quasi)mai, capace di regalare sussulti ed emozioni nelle oltre due ore di durata, come nella magnifica scena della corsa in auto. Lì c'è tutto Eastwood, il suo cinema , la sua vita.
Dopo il trittico delle meraviglie ( MDBaby, Mystic River e Gran Torino), uno dei migliori Eastwood.
Guardandolo ci si sente un po' a casa.
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