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Matrix

Regia di Andy Wachowski, Larry Wachowski vedi scheda film

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La recensione su Matrix

di ilcausticocinefilo
8 stelle

 

 

 

Matrix Rewatched /1

 

 

So che alla mia morte dovrò imputridire e che nulla del mio ego sopravvivrà. Non sono giovane e amo la vita, ma disdegno di abbattermi al pensiero dell’annientamento. La felicità non è meno vera se deve finire. Il pensiero e l’amore non perdono il loro valore se non sono eterni. Parecchi uomini hanno affrontato il patibolo con fierezza; la stessa fierezza ci dovrebbe insegnare a riflettere senza tremare al destino dell’uomo nell’universo. Anche se le finestre spalancate della scienza in un primo momento ci fanno rabbrividire, abituati come siamo al confortevole tepore casalingo dei miti tradizionali, alla fine l’aria fresca ci rinvigorirà.”

 

BERTRAND RUSSELL, “Il mio credo”, in Perché non sono cristiano, Milano, Longanesi, 1959, pp. 59-60.

 

 

 

La matrice. Madre. Genitrice. Generatrice. Codice Sorgente. Avvio. Input si parte. E se tutta la realtà non fosse altro che elaborata illusione? Naturalmente, al di fuori del mondo magico-incantato di Hollywood e di certa filosofia idealistica, è una domanda senza senso, di una pseudo-profondità senza rimedio1.

Ma è servita ai tempi, e serve tuttora a qualche irriducibile nostalgico, per ammantare di eccessiva significatività filosofica (filosofeggiante) un prodotto di intrattenimento valido più che altro per l’apparato visivo e per un messaggio di fondo mai portato all’interno della trama alle sue estreme conseguenze (e ad oltre 20 anni di distanza la cosa si riconferma: Matrix rimane un film alquanto sopravvalutato, basti guardare per un attimo alle medie completamente sfasate [per iperbolico eccesso] sui più svariati siti).

 

 

Carrie-Anne Moss, Keanu Reeves

Matrix (1999): Carrie-Anne Moss, Keanu Reeves

 

 

Diradatasi ormai da lungo tempo la nube fumogena dei sviolinanti encomi a prescindere, forse è infine possibile parlarne con più tranquillità (azzardando: “obiettività”). Partendo col dire che difficilmente lo si può definire un capolavoro tout court: per chiunque abbia visto (da 2001 a Stalker, da Solaris a Ghost in the Shell) e letto (William Gibson, Philip K. Dick e via discorrendo) un poco di fantascienza cyberpunk/postmoderna Matrix appare sin da subito meno “rivoluzionario” di quanto vorrebbe far credere.

 

Certo, rimane un eccezionale film d’azione, ma le sue pretese “altre” si mantengono spesso in precario equilibrio sulla linea del pretesto e, talvolta, del ridicolo, non precipitandovi ma neanche elevandosi mai fino a chissà quali vette d’introspezione.

Più che approfondire si limita ad affastellare con crescente frenesia una miriade di riferimenti, citazioni, allusioni; cenni a filosofia, musica, fumetto, cinema e letteratura. Mischia cristianesimo, messianismo, New Age, buddismo (che la risposta è dentro di te, ricordalo sempre…), filosofia antica (cos’è “l’elezione”, la decisione di prendere la “pillola rossa”, se non un processo di illuminazione interiore, di realizzazione? E quel processo non può che ricordare il mito della caverna di Platone o il dubbio metodico di Cartesio) e contemporanea (notoriamente Simulacri e simulazione2 di Baudrillard si vede e viene citato a ripetizione), con Alice nel Paese delle meraviglie, 1984, Le porte della percezione di Huxley, forse anche The Truman Show in un ribollente crogiolo sincretico 2.0 da far impallidire Star Wars.

 

 

Keanu Reeves

Matrix (1999): Keanu Reeves

 

 

Il risultato finale era a forte rischio di rivelarsi un tragico minestrone nauseabondo, invece – in particolare per quanto concerne questo primo capitolo – riesce quasi incredibilmente a reggersi (seppur talvolta a fatica) in piedi, a non annoiare ed anzi a produrre, nell’insieme, un “concentrato adrenalinico” affatto indifferente.

Perciò, tanto di cappello ai Wachowski (poi le Wachowski): perché sul fronte action Matrix sta al top (del glam). Per merito del contributo sul fronte coreografico dei combattimenti del “mitico” Yuen Woo-ping (non per nulla poi chiamato a lavorare a Kill Bill da Tarantino) e su quello della scenografia, fotografia ed effetti speciali/digitali di una nutrita squadra di talenti con a capo John Gaeta che ha saputo regalarci “sorprese tecniche” del genere di quella oramai abusata del “bullet time”.

 

Di nuovo: a livello narrativo tende a prendersi troppo sul serio, ma mai quanto i suoi seguiti e mai alle spese di narrazione e qualità cinematografica. Evita, in buona misura, di farsi troppo pedante e predicatorio. E, indubbiamente, ha avuto un impatto rilevante sul cinema successivo (specie per ciò che riguarda la tecnica), ma in generale sulla cultura pop del XXI secolo3.

Va da sé che se un qualche prodotto ha una tale influenza non significa automaticamente si tratti di un opera d’arte. Vero è però, al di là dei gusti, che il frullato iper-calorico di action Hong Kong style e anime nipponici, manga e fumetti possiede una sua, si potrebbe azzardare, “genialità”, all’insegna del motto “i grandi artisti non citano, rubano” (anche se i/le Wachowski è fatica definirli/e grandi artisti/e…).

 

 

Laurence Fishburne, Keanu Reeves

Matrix (1999): Laurence Fishburne, Keanu Reeves

 

 

Dunque, per farla breve, se i (le) registi/e tendono a strafare (sconfinando in territori simil-camp con certi dialoghi eccessivamente boriosi), almeno un qualcosina da dire ce l’hanno e soprattutto dimostrano di avere (almeno fino a Reloaded compreso) pure il modo per farlo (tanto di cappello ad alcuni “maiuscoli” contributi tecnici).

Col che costruiscono un’opera elevata in misura determinante da scene d’azione d’antologia (grazie al combinato disposto suddetto di “artigianalità” coreografica e “fantasticheria” tecnologica); recitazione convinta (a parte il solito Reeves un poco imbambolato; ma una menzione d’onore va senza dubbio a Joe Pantoliano e al gigantesco Hugo Weaving che riesce a rendere mirabilmente l’aura di minaccia mista a protervia del suo personaggio già solo con una minima modulazione della voce;); colonna sonora al cardiopalma (sempre “da brividi” la scena finale con stacco sulle note di “Wake Up” dei RATM [una delle perle musicali dei ‘90]).

 

Ok, Matrix non è neppure lontanamente accostabile ad effettivi capolavori della fantascienza filosofica quali Stalker o Blade Runner: il film wachowskiano è ben più caciarone, e la patina di “rilevanza” si stempera nell’azione a rotta di collo, peraltro di altissimo livello.

C'è da aggiungere che (ma questo non è certo colpa del film) la realtà ha ormai e purtroppo superato di gran lunga la fantasia: sì, non viviamo all’interno di un programma, ma sprechiamo gran parte delle nostre vite in balia di programmi, algoritmi dal funzionamento insondabile per l’utente medio, che carpiscono i nostri pensieri e ci analizzano costantemente, rendendoci potenzialmente apatici nei confronti del mondo reale in merito al quale forse siamo arrivati persino a cedere al fatalismo incrollabile: quello che ci dice (sussurrandoci all’orecchio come un perfetto diavoletto) che non si può cambiare niente, che siamo arrivati alla fine della storia e, di più, che non c’è proprio motivo di cambiare alcunché.

Idee – come detto nella nota 2 – che plasmano la realtà tramutandosi quasi subitaneamente in “profezie autorealizzantisi”. Idee che distraggono e distolgono e distorcono. Idee facilissime a diffondersi “nell’etere”, rendendo l’eventualità di una caduta “nella tana del bianconiglio” ben più probabile che in passato, grazie alla proliferazione e ai contenuti personalizzati, cuciti al millimetro sui nostri propri pregiudizi, che quindi si rafforzano sistematicamente e continuamente in un circolo apparentemente inscalfibile e incontrastabile.

 

 

Carrie-Anne Moss, Keanu Reeves

Matrix (1999): Carrie-Anne Moss, Keanu Reeves

 

 

Tutte cose che si sanno, sì dirà: ovvio, ma ecco la ragione per la quale è corretto, in certa misura e al netto dei difetti, definire Matrix se non capolavoro un film comunque eccellente e capace di suscitare riflessione (perfino oltre le intenzioni): perché ha il merito di averci ricordato (non si sa con quale efficacia, stanti le condizioni presenti) che un altro mondo deve essere ipotizzabile, che possiamo scrollarci di dosso le catene della rassicurante visione tradizionale assimilata delle cose che ci porta ad accettare, sottometterci (quasi senza neanche accorgercene) e accogliere, per tornare alla cit. in esergo, come una rinvigorente ventata d’aria fresca la nuova consapevolezza, in apparenza atterrante, della condizione di transitorietà e precarietà delle nostre esistenze perché tale consapevolezza è alla base della necessità di renderlo il più bello, significativo e vivibile possibile, il nostro breve passaggio su questa Terra, e non sprecarlo andando dietro a attraenti miraggi e vacue illusioni consolatorie, in quanto oltre questa vita, reale, non c’è niente.

Matrix ci ha ricordato che un altro mondo è possibile ma che si deve combattere per esso. E il primo passo da compiere per farlo è quello di aprire gli occhi e vedere infine la realtà per quella che è (a maggior ragione se si tratta di una realtà di sfruttamento, a prescindere da simulazione al computer e affini). E non esiste idea più rivoluzionaria di questa.

 

 

Laurence Fishburne

Matrix (1999): Laurence Fishburne

 

 

 

1  Visto che, più che altre realtà, esistono piuttosto varie percezioni della stessa realtà determinate dall’evoluzione, con diversi essersi viventi che posseggono diverse “finestre sul reale” (Dawkins, per dire, fa l’esempio della visione costretta da un velo integrale [cfr. RICHARD DAWKINS, “Un burka smisurato”, in L’illusione di Dio, Milano, Mondadori, 2006]), come, tanto per fare un es., la renne che vedono la luce ultravioletta.

Ordunque, non esiste un mondo reale (magari un Empireo) contrapposto a questo – che sarebbe solamente illusorio, simulato – ma piuttosto questo mondo che, probabilmente, mai arriveremo a conoscere fino in fondo in tutte le sue variegatissime manifestazioni. Si potrebbe sostenere che ciascuno di noi viva in una sorta di “simulazione” indotta dal suo stesso cervello sulla base di input provenienti dal mondo reale. In questo senso, tutti viviamo in quello che potrebbe esser considerato un “mondo virtuale”: ma non creato da qualcuno fuori da noi, Dio e “Programmatore” che sia. Insomma: abbiamo dei limiti, i nostri sensi possono essere manipolati/ingannati, il cervello pure, vediamo le cose dalla nostra personale prospettiva: pertanto nella realtà “a 360°” forse mai profonderemo oltre certi paletti biologicamente determinati.

Ma quel che risulta alla fine riduzionista è il pensiero per il quale un qualcosa di così complesso come l’universo debba per forza esser stato creato e pianificato passo passo da qualcuno e/o debba essere tutta una simulazione (nel qual caso: come sarà mai fatta la realtà quella vera?). In Matrix vien fatto da delle macchine (che “perlomeno” non ci hanno creati, ma anzi sono state create da noi, e neppure hanno creato l’universo, quello vero, che dunque esiste) per abbagliarci, renderci docili e utilizzarci come fonte di energia nella realtà realtà, dalla quale appunto provengono gli input canalizzati dai robot nella costruzione dell’illusione digitale della stessa.

Peccato che solo per creare una simulazione complessa ci vorrebbe all’origine una tale capacità computazionale (e quindi un tale dispendio di energia) da renderla presumibilmente impossibile a realizzarsi, specie da esseri a quanto pare alla vorace ricerca di fonti energetiche e alle prese con una guerra a tutto campo.

 

 

2  Nel quale, in sintesi, pare si intenda “dimostrare” come realtà e significato siano stati in buona sostanza rimpiazzati dai loro simulacri e come conseguentemente il complesso dell’esperienza umana non costituisca altro che una simulazione della realtà. Meglio: a causa del consumismo si sarebbe passati da uno stato in cui ci si trovava circondati da “rappresentazioni” di cose che effettivamente esistono ad uno odierno in cui le nostre vite sarebbero riempite da “simulazioni”, oggetti che creano la realtà a cui sembra si stiano riferendo. Andando avanti così il “mondo delle simulazioni” acquista una sorta di vita propria e la realtà va erodendosi fino a divenire un deserto (come detto da Morpheus stesso in un dialogo).

Tutto questo potrebbe servire (e in Matrix serve) a distrarre dal fatto che saremmo sfruttati da un qualcuno (o qualcosa) nella vita reale. Il che potrebbe, a voler stirare il significato, indurci ad operare un collegamento con Marx, in virtù dell’idea per la quale lo sfruttamento del proletariato sarebbe reso possibile dal fatto che esso non si percepisce affatto come sfruttato, in quanto distratto da “illusioni” in qualche modo “riappacificatorie” quali religione e nazionalismo. Ideologie e messaggi fuorvianti che plasmano la realtà facendo credere di essere tutti liberi e uguali, non schiavizzati e membri di una compagine compatta e concreta, che invece è meramente artificiale.

Vale la pena notare, tra parentesi e a latere, come il Baudrillard non abbia ciononostante per nulla gradito il film, sul quale si è espresso in termini tombali: “The Matrix is surely the kind of film about the matrix that the matrix would have been able to produce.” – Cfr. https://www.sparknotes.com/film/matrix/section1/ e, per la cit., https://baudrillardstudies.ubishops.ca/the-matrix-decoded-le-nouvel-observateur-interview-with-jean-baudrillard/

 

 

3  Fino ai colmi di certi circoli di frustrati complottisti che si credono di “aver ingurgitato la red pill”; di aver “aperto la mente nei confronti della realtà” (spoiler: è tutta colpa di neri, femministe, gay e immigrati) e di aver capito l’universo e tutto quanto. https://www.bbc.com/news/entertainment-arts-57572152. Di fronte a quest’emorragia di ciarle alt-right senza capo né coda, la risposta definitiva a chi usa a sproposito un termine ormai deviato e senza senso logico: https://twitter.com/lilly_wachowski/status/1262104754496339968.

 

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