Regia di Pete Docter, Kemp Powers vedi scheda film
Ogni individuo merita di trovare un suo specifico posto nel mondo, una postazione stabile che valorizzi appieno le sue attitudini, creando ripetutamente quei nuovi stimoli in grado di mitigare la fatica e regalare soddisfazioni. In pochissimi riescono a fare tombola al primo colpo. Per la maggioranza, la ricerca assume connotati estenuanti e poi c’è chi parte sentendosi sconfitto in partenza e neanche abbozza un tentativo. Per tutti, una spintarella non guasta mai, così come un mentore può chiarire le idee e indirizzare le singole predisposizioni nella giusta traiettoria, coltivando le qualità nascoste e alleviando quei dubbi che frenano ogni potenziale interesse.
Con Soul, titolo preselezionato per il Festival di Cannes 2020 (come a suo tempo accadde per Inside out), torna a brillare la stella della Pixar che, forte di un team di elevatissima professionalità, aggredisce tematiche complesse rivelandosi anche incredibilmente sul pezzo per come accende una fiammella di speranza e risveglia i sensi, in un momento storico nel quale ogni orizzonte appare precluso e non s’intravvede nemmeno un barlume luce in fondo al tunnel.
Joe Gardner (Jamie Foxx) insegna musica in una scuola media, ma ha sempre sognato di poter praticare il jazz ad alto livello, suonando nei club. Improvvisamente, riceve dalla scuola un’offerta di lavoro a tempo indeterminato e poche ore dopo, quando la popolare cantante Dorothea Williams (Angela Bassett) lo invita a suonare con lei, ha anche l’occasione anelata da tempo immemore.
Purtroppo, il fato è beffardo e rincasando Joe cade in un tombino, ritrovandosi in forma di spirito in un limbo che conduce direttamente all’aldilà. Qui conosce 22 (Tina Fey), un’anima in costruzione, destinata a compiere il percorso inverso ma recalcitrante di fronte a ogni possibile personalizzazione che le viene proposta.
Insieme, tra necessità e perplessità, cercheranno una soluzione ai loro problemi.
Con Soul, Pete Docter rianima la Pixar, riportandola a quei fasti che proprio dal suo Inside out del 2015 aveva al massimo sfiorato e il più delle volte del tutto disatteso, con soggetti originali raramente ispirati e seguiti ottimamente confezionati, ma inevitabilmente privi di quella pagina bianca su cui siglare un nuovo spartito, rinnovando e innovando.
Dunque, condensando una materia disposta su un’impalcatura multilayer ad alto tasso di percettività, in novanta minuti tondi Soul sale subito in cattedra, serra i ranghi e prende per mano, uncinando il senso stesso della vita. Un rullo compressore che rompe il ghiaccio senza dilungarsi nei preamboli, mettendo a contatto scenari e personaggi suggellati all’insegna della dicotomia.
Così, la realtà terrena è alternata a un limbo sospeso tra la vita e la morte, uno spazio che induce la creatività a procedere a briglia sciolta sbizzarrendosi, mentre i due protagonisti raffigurano visioni completamente antitetiche, tra chi è disposto a compiere qualunque azione pur di non morire e chi invece non ha alcuna intenzione di cominciare a vivere tarpandosi le ali da solo, convinto com’è che non ci troverebbe alcuna gioia. Queste contrapposizioni sono evidenziate dall’alternanza di colori caldi (il club e il negozio della mamma di Joe) e freddi, dal passaggio da un’abbondanza di dettagli a uno sfondo sostanzialmente spoglio (nel limbo non c’è nulla oltre lo stretto necessario), dall’articolata morfologia umana cui fanno da contraltare i lineamenti basici dell’anima.
Al di là di queste connotazioni figurative, che non lasciano nulla al caso, Soul vince a pieni voti la sua sfida per le motivazioni che lo animano nel suo lungo e agitato girovagare, una corsa contro il tempo che deraglia dai binari schematici culminando in un approdo distensivo. Invita a guardare oltre il proprio naso cercando quella scintilla che cambia radicalmente le prospettive, ad aprirsi alle esperienze imparando ad ascoltare, premia la passione che deve assumere il ruolo di guida, quel trasporto che ci permette di manifestare la parte migliore di noi superando le interferenze che ogni cammino frappone con la nostra meta.
Attingendo al nutrito serbatoio di cui dispone, con le rappresentazioni emotive (Inside out), un luogo di passaggio (Coco) e una rapida carrellata sugli attimi che segnano una vita intera (Up), la Pixar riprende in mano le redini del suo destino, aggiungendo una dialettica fulminante, uno spirito propositivo, una condotta arrembante, un’operatività cangiante e un portamento duttile. Una prelibata congiunzione astrale di aspirazioni e talenti che invita lo spettatore a non demordere poiché molte volte la risposta è più vicina di quanto pensiamo, a non guardare l’erba del vicino (che non è sempre più verde) bensì a noi stessi, ad aggrapparsi ai sogni senza rinculare di fronte alle scelte complicate, a donarsi agli altri perché solo così potremo ricevere qualcosa di veramente importante in cambio.
Un toccasana per l’umore, un’inebriante sollecitazione a ripartire con rinnovato slancio.
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