Regia di Gus Van Sant vedi scheda film
Psycho di Gus Van Sant sta all' originale come i quadri di Andy Warhol stanno alle immagini che riproducono. In effetti, questo film non è un remake ma una vera e propria riproduzione. Van Sant prende il film di Hitchcock e lo riproduce pezzo dopo pezzo. Ne studia le inquadrature, i movimenti di macchina, le scelte stilistiche. Ma non è una semplice copia. C'è uno scarto che lo fa diventare un' opera autonoma. Come nei quadri di Warhol.
Lo scarto in questo caso è il colore, sono gli attori diversi, sono piccole aggiunte nella sceneggiatura e nel taglio delle inquadrature.
Sono l' inserimento di immagini subliminali nelle scene più note.
In questo modo rivediamo Psycho, ma vediamo anche un film di Gus Van Sant.
L' autorialità del regista si insidia proprio nei piccoli scarti di cui parlavo prima.
Il regista, quindi, costruisce un film paragonabile ad un' opera pop partendo da un modello eccellente.
E forse proprio in questo processo artistico troviamo l' intelligenza del film. Fare un remake di un film di Hitch sarebbe una cosa senza senso. Alcuni suoi film sono perfetti e Psycho è fra questi. Ci si può giocare come fa Brian De Palma. Ma prendere le sue storie e girarle in una altro modo è da sciocchi. L' unica soluzione è quella di riprodurre le sue opere. Ed è quanto fa Gus Van Sant.
La sua operazione quindi è prettamente concettuale. Il suo film è una sorta di sfida e di provocazione.
Come quando guardi il barattolo Campbell di Warhol. Magari lo hai visto nel supermercato e poi te lo trovi come un' opera d' arte.
In questo caso parti da un' opera d' arte e ti ritrovi un film come potresti guardarlo in televisione.
Il senso del film è proprio in questo. Non nel suo rapporto con l' originale ma nel valore che una riproduzione cinematografica può avere nel nostro tempo.
Se la intendiamo come un remake (pratica molto usata ad Hollywood) nella maggior parte dei casi ci ritorviamo davanti ad un film scadente, se la intendiamo come un girare di nuovo e allo stesso modo un vecchio film la cosa assume un suo significato.
Diventa un sorta di sfida con il regista precedente. Ma anche un percepire una perfezione, in questo caso, che difficilmente può essere superata se non con un approccio ironico.
Ed è questo il senso degli inserti extradiegetici e subliminali. Una donna nuda, un cielo nuvoloso, una mucca.
Sono come i baffi che Dalì fece alla Gioconda.
E' prendere un modello, riprodurlo e lasciare la propria firma per appropriarsene.
Il fatto è che molto cinema contemporaneo si nutre di se stesso. Se lo fa come Tarantino, che non nasconde i modellli a cui attinge, è un conto. Se lo fa nascondendo questi modelli è un altro.
Gus Van Sant si pone in una situazione estrema. Mostra esplicitamente il modello e non si vergogna di farlo. In un certo senso ci dice che a lungo andare rifare sempre gli stessi film può essere dannoso per il cinema. Se non ci sono più idee allora è meglio riprodurre che copiare.
Per questo Psycho è un film importante. Critica un modo di fare cinema che sta diventando sempre più autoreferenziale mentre cerca di nasconderlo.
Van Sant porta alla luce questo problema.
E lo fa nella maniera migliore, senza prendersi troppo sul serio.
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