Regia di Joana Hadjithomas, Khalil Joreige vedi scheda film
Una coltre di neve avviluppa Montreal alla vigilia di Natale. Tre donne si apprestano a celebrare la ricorrenza, ognuna a suo modo. La giovane Alex e la nonna Téta arrotolano le foglie di vite, come nella miglior tradizione libanese, mentre Maia è impegnata altrove incurante delle festività. Durante i preparativi arriva un pacco piuttosto vistoso che la matriarca, vorrebbe rispedire al mittente...
Babbo Natale indossa una buffa divisa da corriere ed usa il carrello con le ruote invece della slitta. Non entra dal camino ma suona il campanello consegnando i propri omaggi al beneficiario del dono. Quello ricevuto dalla madre di Alex non sembra nemmeno un regalo ma il cinico presente di un folletto imberbe che, insieme al contenuto della scatola, consegna una triste notizia. Liza, amica di un tempo è morta. La scatola contiene la fitta corrispondenza inviatale da Maia che, da Beirut, teneva al corrente l'amica di ciò che stava succedendo durante la guerra. Una guerra che la famiglia di Téta aveva vissuto sulla propria pelle prima di trovare un viatico definitivo per il Canada.
Joana Hadjithomas ha tratto ispirazione dalla propria corrispondenza per portare in scena con il marito Khalil Joreige una riflessione sulle ferite della guerra libanese. Il pretesto è semplice ma efficace. La "scatola della memoria", recapitata ad una donna che ha seppellito i propri ricordi sotto una simbolica coperta bianca, e la curiosità della figlia, che a causa del maltempo è costretta tra le mura di casa, mettono in moto un certosino recupero del passato, tanto doloroso per chi l’ha sepolto nel dimenticatoio quanto necessario per chi è privo di un’identità culturale e geografica precisa. Diari, disegni, audiocassette e fotografie, tra le mani di Alex, scatenano lancinanti emozioni. Le parole della giovane Maia raccontano un mondo lontano ed una tragedia rimossa che spingono Alex a chiedersi chi sia veramente la madre. Presa dalla “memory box” la ragazzina va modificando il proprio atteggiamento verso il genitore di cui si inizia a comprendere il comportamento distaccato. Il confronto tra Alex e la madre è inevitabile e burrascoso ma si conclude con la scoperta di alcune pagine dolorose della storia familiare.
Il duo libanese racconta la Beirut degli anni ’80 rivestendola di una patina vintage molto seducente. Le testimonianze incise nei nastri, le foto sbiadite dal tempo, il tormentone “One way or another” dei Blondie raccontano la Beirut di quel tempo tra il desiderio femminile di emancipazione e la forte ambizione di una società liberale di impronta occidentale. Capaci di fondere presente e passato fissando gli scatti contigui della reflex di Maia in sequenze uniche dalla vaga sembianza del fumetto, Hadjithomas e Joreige non risparmiano il racconto dalla violenza che esplode nelle inquadrature dei palazzi sventrati, nelle macerie della scuola bombardata e nell’incendiario bombardamento, a suo modo spettacolare, che colpisce la capitale. Il tutto è mostrato sfoderando una qualità dell'immagine simile a quella dei filmini provati dal tempo e conservati in una scatola a reperire.
"Memory box" è un resoconto privato che deriva da un contesto storico altamente significativo. È una medicina che aiuta a far affiorare la memoria, un tonico fluidificante che permette di espellere scorie in eccesso accumulate per anni nel corpo e nell'anima. Non offre solamente una spalla su cui piangere ma offre un nuovo inizio e la forza di reagire. Può sembrare consolatorio il finale all'insegna degli incontri che riaccendono il passato e lo fanno rivivere tra le innumerevoli gru e i cantieri avveniristici di Beirut ma lo è solo per metà. Maia ha ritrovato il sorriso eleborando la perdita del suo Libano ma non ha raccontato tutto ciò che il suo cuore conteneva. I palazzi vengono ricostruiti ma alcune macerie sono rimaste nel fondo del suo cuore per ricordarle chi è. La memoria va custodita nel privato. One way or another.
Cinema Teatro Santo Spirito - Ferrara
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