Regia di Norman Jewison vedi scheda film
La novizia Agnese, che viene misteriosamente trovata con un bambino morto nella sua cella, piuttosto che essere un personaggio vero e proprio del film, pare essere un'emanazione - una proiezione mentale - direttamente sgorgata dalle due protagoniste effettive dell'opera: la psichiatra Martha e la superiora Miriam. Le due donne hanno molto in comune: sono autoritarie, volitive, disincantate. A dividerle c'è solo la fede, totalmente assente in Martha. La psichiatra prova malcelato disprezzo per l'istituzione Chiesa, un (ri)sentimento che affonda le radici nella sua infanzia e nella rigida figura materna, nonché in sua sorella monaca, morta in circostanze poco chiare in convento. Che cosa vede in Agnese? Una riproposizione delle sue sofferenze e prurigini della gioventù: Agnese è quello che forse sarebbe diventata lei se non si fosse emancipata. Agnese non ha mai visto il mondo, ha la purezza contraffatta propria di chi non ha mai avuto la libertà di sporcarsi. E' inibita e repressa. E' l'epitome di quel concetto deteriore di autoumiliazione cristiana; quel credersi sempre indegni e inferiori non tanto per umiltà genuina quanto per imposizione dall'alto. La superiora Miriam vede invece in Agnese tutto quello che avrebbe voluto essere lei: una donna di fede incrollabile, e, perché no, un miracolo in un'epoca in cui i miracoli sono ormai un fatto anacronistico. Per ricondurci alla tesi iniziale, sembra che Agnese sia un parto della fantasia di entrambe: un mezzo per dare un senso al lavoro noioso dell'una, e alla fede sbiadita dell'altra. Agnese si trova al centro di queste due forze opposte: Martha che tenta di strapparla al convento e la superiora che insiste affinché rimanga e mostri a tutte quante la via della vera santità. E' evidente che chi applica pienamente i precetti cristiani è proprio la miscredente Martha, la quale con generosità si è spesa per fare luce su un caso che tutte le componenti (tribunale e chiesa) ci tenevano a insabbiare il più rapidamente possibile. Quindi il film getta anche una luce (o un'ombra) su che cosa voglia significare esattamente il vivere secondo l'insegnamento cristiano: se basti nascondersi sotto un velo per potersi dire cristiani, o se il rifiuto del vuoto rituale e di tutta quanta quella sovrastruttura impositiva sia condizione sufficiente per non potersi dire tali.
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