Regia di Jesús Franco vedi scheda film
Un film girato con la solita cura formale da Jesùs Franco, ma totalmente privo di sostanza narrativa, tanto che la trama può essere semplicemente sintetizzata dall'unica parola del titolo. Un vero delirio, soprattutto per i dialoghi costantemente assurdi, che rendono faticosa la visione.
Lisbona. Durante la celebrazione di un rito sacrificale un uomo e una donna, legati ad una croce greca, vengono brutalmente torturati, quindi pugnalati a morte. Si tratta di una messa in scena, uno spettacolo macabro recitato dalla spogliarellista killer di nome Lorna (Janine Reynaud). Legata a William (Jack Taylor) sentimentalmente, in attesa di partire per Berlino, Lorna si muove in uno spettrale paesaggio degli anni Sessanta: tra nani danzanti, immagini oniriche e bizzarri giochi s/m.
Sostanziosa, a giudicare dalle location lussuose e dal curato set, coproduzione tra Germania, Spagna e Portogallo diretta con professionalità da Jesùs Franco. Purtroppo la notevole confezione cela un vuoto impressionante, principalmente a causa della bruttissima sceneggiatura di Pier A. Caminnecci, che per l'occasione-senza sapere dove andare a parare- vagamente si ispira al personaggio (in veste femminile) dello schizofrenico Norman Bates di Psyco. Costretta a dialoghi astrusi (attenzione: non criptici o complessi, ma proprio aleatori e indisponenti) caratterizzati da una terminologia composta a caso pescando dal "paroliere", la povera (per quanto brava e sprecata) Janine Reynaud si muove tra personaggi apatici e patetici manichini (intercambiabili tra loro per quanto -i tipi umani- piatti psicologicamente).
Ci si può fare del male e confrontare le tante versioni del film (quella italiana addirittura inqualificabile) ma in ogni occasione il risultato non cambia: qualunque sceglierete di vedere, non ci capirete pressoché nulla. E basta fare un giro in internet, per averne la prova: ovunque cercherete, non troverete da nessuna parte una sinossi sensata del film. Semplicemente perché manca la storia di base, quindi non c'è nulla da riassumere. Notevoli, invece, appaiono i faziosi tentativi di volere attribuire un inesistente manto di erudita narrazione, tentati -con cervellotici voli pindarici- dai fan sfegatati del regista. Regista che non ha colpe, al contrario svolge ottimamente il suo ruolo, nonostante ne sia uscito un film inseguibile e parecchio pedante. Franco è costretto a girare work in progress, limitato da datati cliché dell'epoca (il -a volte- terribile 1968) dove predomina incontrastato un "figlio dei fiori touch": costumi sgargianti -indossati da attori ingessati e con capigliatura laccata- feste e festini, castigati striptease e scene lesbo-chic. Tutti scontati elementi, circoscritti al lisergico anno di realizzazione, che vanno a braccetto con tediose musichette jazz.
Da noi circolato con l'appropriato titolo di Delirium, è noto illogicamente anche come Necronomicon, Succubus e Paroxysmos. Il falso rito sacrificale è una vera ossessione franchiana, tanto che verrà girata in maniera molto simile, tanto per citare due esempi, anche ne El sádico de Notre-Dame e Around the world in 80 beds. Molto belli i titoli di testa, sviluppati su dipinti di Hieronymus Bosch, così come la fotografia e le location di Lisbona e Berlino (in una scena si può notare che era in programmazione nei cinema tedeschi Il dott. Zivago). Mentre quasi profetica appare una frase nella quale uno dei protagonisti sentenzia (tra i tanti dialoghi deliranti appunto): "Quando un film esce in sala, dopo tre mesi dalla lavorazione, è già invecchiato." Ovviamente si tratta di una falsità in generale, tranne che per Delirium, la classica eccezione che conferma la regola.
"Il delirio non può essere spiegato. Prima o poi irrompe nella vita di ognuno… E forse è davvero povera una vita che non sia stata spazzata via, almeno una volta, dal turbine di una crisi come questa, una vita il cui edificio non sia stato mai scosso da un terremoto, travolto da un tornado che fa volare le tegole dal tetto e, ululando, smuove per un attimo tutto ciò che la ragione e il carattere avevano tenuto in ordine." (Sándor Márai)
F.P. 24/10/2019 - Versione visionata in lingua tedesca (durata: 78'23")
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